Rischi legati ai titoli di debito
Aggiornamento: 30 giu
RISCHIO DI REINVESTIMENTO
Molto spesso trattando di titoli di debito ci si sofferma unicamente sugli aspetti di rendimento trascurando quelli di rischio. Quali tipologie di rischio si corrono quando si investe in titoli di debito? E come si possono misurare/quantificare? Esaminiamo allora due tipologie di rischi molto importanti, peraltro legati ai limiti del TRES: rischio di reinvestimento e rischio di interesse/prezzo. Infine, vedremo il rischio di rimborso anticipato (callable bond) che non riguarda allo stato attuale i titoli governativi italiani.
Con il TRES si ipotizza, implicitamente, che le cedole vengano reinvestite a un tasso costante per tutta la durata dell’investimento e sempre uguale allo stesso TRES. Tale ipotesi è del tutto irrealistica non solo perché i tassi variano nel tempo, ma anche perché di norma variano lungo la curva dei rendimenti per scadenza. Il rischio di reinvestimento deriva quindi dalla variabilità delle condizioni di reimpiego delle cedole che scadono nel corso del periodo di investimento. Il problema principale del reinvestimento dei frutti del titolo risiede nella destinazione finale del netto ricavo della cedola: se l’importo incassato è destinato a alimentare la spesa per consumi dell’investitore è come se il reinvestimento avvenisse a tasso zero e, se il reinvestimento degli interessi avviene in altre attività finanziarie, il rendimento effettivo cambia (in aumento o in diminuzione). Occorre peraltro non dimenticare/sottovalutare anche il costo opportunità del non reinvestimento delle cedole legato ad esempio al vantaggio di "spendere" l’importo delle cedole in uscite fisse correnti senza dover disinvestire titoli in momenti di mercato non ottimali. Infatti, i flussi netti di cassa che si rendono via via disponibili possono essere destinati tanto all'acquisto di beni e servizi quanto al reinvestimento in operazioni finanziarie simili, uguali o diverse da quella che li ha generati. In altre parole, il risultato finale è strettamente collegato al reinvestimento dei flussi di cassa e quindi al tasso (o ai tassi) negoziabili al momento del reimpiego delle prestazioni, cioè da condizioni di remunerazione che possono essere solo oggetto di stima.
RISCHIO DI INTERESSE/PREZZO
Il prezzo di un titolo a reddito fisso varia in direzione opposta ai tassi di mercato e questo principio dipende dal fatto che il prezzo del titolo deriva dalla somma dei valori attuali dei flussi di cassa associati al titolo stesso: all’aumentare dei tassi di rendimento, diminuiscono i valori attuali di questi flussi e quindi diminuisce il prezzo del titolo, mentre al diminuire dei tassi, aumenta il valore attuale e quindi cresce il prezzo del titolo. Tale relazione - nota come rischio prezzo o di interesse - corrisponde al fatto che l’investitore, in un momento caratterizzato da un aumento dei tassi di interesse, vede diminuire il valore dei titoli in posizione e, quindi, è esposto al rischio di incorrere in perdite in conto capitale qualora venda il titolo prima della scadenza o in mancati guadagni (nel caso opposto) quando, invece, lo detenga sino a scadenza.
Qualora l’investitore venda il titolo prima della scadenza, il prezzo può essere anche significativamente diverso dal valore di rimborso, determinando uno scostamento tra il valore del TRES, ex ante, basato sull’ipotesi di detenzione del titolo per tutta la sua durata, e il rendimento ex post, calcolato sulla base dell’effettivo periodo di investimento e dei flussi di cassa in entrata e in uscita effettivamente realizzati. Il rischio di prezzo origina quindi dalle oscillazioni delle quotazioni di vendita del titolo per effetto delle variazioni dei tassi di mercato ed è quindi definibile come quel rischio potenziale di variazione del prezzo che consegue dalle variazioni di rendimento richiesto dagli operatori.. Se si introduce l’ipotesi che gli investitori siano avversi al rischio di interesse, ne deriva che saranno preferiti quei titoli che, a parità di rendimento effettivo, si caratterizzeranno per le variazioni di prezzo più contenute.
L’investitore, che desideri monitorare le eventuali improvvise variazioni di prezzo del titolo detenuto in portafoglio, deve affiancare agli indicatori di rendimento prima esaminati anche un indicatore di rischio in grado di misurare la sensibilità dei corsi obbligazionari alle variazioni dei tassi di mercato e che parimenti consideri congiuntamente, pesandone le relative incidenze, sia la vita residua del titolo, sia l’ammontare della cedola.
L’indicatore che consente di ottenere questa informazione è la duration, cioè la durata media finanziaria del titolo (da non confondere con la sua vita residua). Tale misura tiene conto di tutte le prestazioni attese nella vita del titolo e quindi anche delle cedole.
Oltre a rappresentare un indicatore della vita media di un titolo, la duration può essere utilizzata come misura di sensibilità del prezzo al variare del tasso di interesse. In particolare, l’indicatore che consente di ottenere questa informazione è la duration modificata il cui valore, calcolato per il livello corrente del rendimento effettivo, consente di stimare la variazione percentuale del prezzo in corrispondenza di una determinata variazione del rendimento. La variazione del rendimento si riflette in una variazione percentuale del prezzo di segno opposto e per un valore che è, in termini assoluti, direttamente proporzionale alla misura di duration modificata: al suo aumentare aumenta la variabilità del prezzo del titolo, quindi aumenta il rischio di interesse.
La duration, o durata media finanziaria, è un indicatore frequentemente usato nella pratica operativa. Esso fornisce sia una misura del tempo medio di rientro del capitale investito, sia un’indicazione sulla sensibilità del prezzo del titolo al variare dei tassi di mercato. Per spiegare tali concetti occorre comunque procedere per gradi e con alcune necessarie premesse.
La relazione prezzo/rendimento è di tipo inverso e curvilinea e convessa verso l’origine (con un’inclinazione pari alla volatilità del prezzo). Non tutti i titoli espongono l’investitore a un identico rischio di tasso. La relazione prezzo/rendimento non solo, infatti, è inversa ma è anche convessa: ciascun titolo possiede pertanto una propria e particolare sensibilità alle variazioni dei tassi di interesse che dipende in primo luogo dalla scadenza e, a seguire, dalla cedola. Si può rilevare che i titoli maggiormente sensibili alle variazioni di tasso sono quelli a più lunga scadenza, a parità di cedola, mentre a parità di scadenza i titoli a cedola minore sono più sensibili di quelli a cedola maggiore.
Se è vero, infatti, che i titoli a lunga scadenza espongono l’investitore a un rischio di tasso maggiore rispetto ai titoli a breve, d’altra parte la sensibilità alle variazioni del tasso non dipende solo dalla vita residua, ma anche dalla distribuzione nel tempo dei pagamenti (incasso delle cedole e del valore di rimborso, o capitale, finale). A parità di vita residua, infatti, un titolo che paga cedole espone l’investitore a un rischio di tasso inferiore rispetto a un titolo zero coupon. Quindi, per i titoli che pagano cedole nel corso della loro vita, la vita residua non è un indicatore sufficientemente preciso della sensibilità al rischio di tasso. Sotto il profilo matematico-finanziario, la scadenza (vita residua) prende infatti in esame solo i flussi di rimborso in conto capitale, senza alcuna considerazione per quelli in conto cedola. Occorre quindi misurare non solo la vita residua di un titolo, ma anche la sua durata finanziaria.
Sotto un profilo formale la durata finanziaria è data dalla media aritmetica delle scadenze dei flussi, dove ogni scadenza viene ponderata per il rapporto esistente tra il valore attuale del flusso in maturazione a quella scadenza e il prezzo tel quel del titolo alla data di valutazione. In termini analitici, tale indicatore indica la vita media di un’obbligazione che tiene conto di tutte le prestazioni attese dal titolo e del relativo contributo alla determinazione del prezzo: sia il prezzo che i valori attuali dei flussi di cassa sono determinati in base al livello vigente del rendimento effettivo. La duration è un indicatore espresso in termini temporali nella stessa unità utilizzata per misurare i periodi relativi alle scadenze dei flussi di cassa. Pertanto, una duration espressa in anni e pari a 1,50 indicherà un periodo pari ad un anno e sei mesi.
scadenza (N) –
A parità di cedola e di tasso di rendimento effettivo, la duration è maggiore per i titoli con maggiore vita residua; essa aumenta a mano a mano che si protrae la scadenza del titolo anche se ciò avviene a un tasso decrescente e questo si verifica perché il rimborso del valore nominale alla scadenza costituisce di norma il flusso più importante, con un effetto rilevante sul prezzo e sulla duration del titolo.
importo della cedola (C) –
A parità di vita residua e di tasso di rendimento effettivo, la duration è minore per i titoli con cedola maggiore: il motivo di tale relazione inversa è da ricercarsi nel fatto che se le cedole sono elevate, aumentano i flussi di cassa prima della scadenza e diminuisce il peso relativo del valore nominale di rimborso; inoltre, il processo di sconto dei flussi di cassa ha un effetto minore su quelli che si manifestano prima e che quindi sono destinati a avere un maggiore impatto in termini relativi su prezzo e duration rispetto a quelli posteriori.
rendimento effettivo (TRES) –
A parità di cedola e di vita residua, la duration è minore per i titoli a maggiore rendimento effettivo; inoltre, un incremento del tasso di attualizzazione ha un effetto maggiore sui flussi di cassa più lontani nel tempo, riducendo il valore attuale e quindi la duration. Dal momento che i tassi di attualizzazione corrispondono al tasso di interesse di mercato di obbligazioni con caratteristiche similari, un incremento di tali tassi avrà un effetto sulle obbligazioni di nuova emissione che, per risultare interessanti, dovranno corrispondere cedole più elevate, anche se tendenzialmente in linea con i tassi di mercato, che comporteranno un accorciamento della duration.
RISCHIO DI RIMBORSO ANTICIPATO
Le obbligazioni callable(dall’inglese to call, "chiamare") sono obbligazioni a tasso fisso che includono una clausola di rimborso anticipato (call provision) da parte dell’emittente del titolo. Tale clausola consente all'ente emittente del titolo di rimborsare l'obbligazione quando il tasso risulti più elevato di quello di mercato con un aggravio del prestito per lo stesso. L’emittente avrà infatti il vantaggio a esercitare il diritto se la cedola del titolo alla data di "richiamabilità" eccede il livello dei tassi di mercato. L’emittente a quel punto potrà rifinanziarsi a costi inferiori per il periodo di vita residua del titolo. Chiaramente questo comporta che all'emissione il tasso sia mediamente più elevato di quello di mercato per compensare l'investitore del rischio di rimborso anticipato.
RISCHIO DI LIQUIDITA'
Un ulteriore elemento di rischio per i titoli obbligazionari è rappresentato dal rischio di liquidità. Questo consiste nella possibilità di non trovare in tempi rapidi e a condizioni economicamente convenienti una controparte disposta ad acquistare un titolo obbligazionario precedentemente acquistato. L'investitore che acquista un BTp a 50 anni è molto probabilmente consapevole che non porterà il titolo a scadenza, ma avrà bisogno di rivenderlo sul mercato secondario. Questo investitore, non sapendo quale sarà il prezzo al quale riuscirà a vendere il suo titolo sul mercato, si trova in una condizione di incertezza (e quindi di rischio).
L'eventualità che, in assenza di controparti interessate ad acquistare il suo titolo a prezzi correnti, egli debba "svenderlo" pur di riuscire a liquidare il proprio investimento, rappresenta la concretizzazione del rischio di liquidità. Sotto un'altra prospettiva, il rischio di liquidità è rappresentato dal tempo non breve che si dovrà attendere prima di riuscire a vendere il proprio titolo ad una controparte ad un prezzo in linea con le normali condizioni di mercato.
la quotazione del titolo su un mercato ufficiale –
La circostanza che il titolo è stato ammesso alla quotazione e venga scambiato su un mercato ufficiale (borsa valori) facilita la ricerca di una controparte disposta a negoziare il titolo obbligazionario. In assenza di una quotazione la ricerca di una controparte può rivelarsi un'attività lunga e dispendiosa.
la dimensioni dell'emissione a cui appartiene il titolo stesso –
Acquistare un titolo di un'emissione piccola, ovvero di un'emissione nella quale il numero dei titoli e il valore complessivo dell’emissione sono contenuti, limita il numero di scambi potenziali, riducendo il numero di soggetti in possesso del titolo rispetto ad emissioni di dimensioni più ampie.
la presenza e la numerosità di intermediari disposti a fare da "market maker" –
Un market maker è un intermediario finanziario (es. una banca) che si impegna a proporre quotazioni in acquisto e in vendita su un determinato titolo. L’intermediario garantisce quindi una liquidità artificiale al titolo, dato che pur in assenza di operatori interessati a negoziare, il market maker consente comunque di acquistare o vendere il titolo. Non bisogna però ignorare che il differenziale tra il prezzo proposto in acquisto e quello proposto in vendita (il c.d. “bid-ask spread” o spread “denaro-lettera”) rappresenta per gli operatori di mercato un costo implicito e che tanto minore è l’interesse del mercato per il titolo, tanto maggiore tende a essere tale spread.
RISCHIO DI INFLAZIONE
Un titolo obbligazionario può avere una durata particolarmente lunga, come nel caso dei Btp, dove alcune emissioni possono raggiungere anche i 50 anni.
Con orizzonti temporali così lunghi, oltre ai comuni rischi del mercato finanziario, vi è anche la possibilità che l’inflazione – ovvero una generalizzata diminuzione del potere di acquisto della moneta o un generalizzato aumento dei prezzi di beni e servizi all’interno di un’area monetaria – intacchi il reale valore di rimborso del titolo. Se infatti l’emittente assume l’impegno a restituire il capitale nei modi e nei tempi previsti dal contratto (es. unico rimborso a scadenza), tale impegno è, tranne che per i titoli indicizzati all’inflazione, un impegno a restituire lo stesso ammontare di denaro in termini “nominali”.
Qualora l’inflazione avesse intaccato il potere di acquisto del valore nominale del titolo, l’investitore si vedrebbe consegnato un importo che, rispetto al capitale investito, sarebbe uguale solo nominalmente, ma che in termini reali (cioè di potere di acquisto) lo vedrebbe perdere parte del capitale. Se dall’ingresso dell’Euro l’inflazione si è sempre mantenuta entro valori piuttosto contenuti e gli investitori non hanno percepito questo come un rischio rilevante, non bisogna dimenticare che con orizzonti di investimento medio-lunghi anche il rischio di inflazione deve essere tenuto in considerazione.
RISCHIO DI TASSO DI CAMBIO
Il mercato obbligazionario vede competere emittenti appartenenti a diverse aree valutarie (es. euro, dollari, sterline, yen, ecc.) e si è visto come alcuni emittenti preferiscano denominare i propri titoli in valute diverse da quella di appartenenza (es. le Eurobbligazioni). L’eventualità che il rendimento ottenuto da un investimento in obbligazioni denominate in valuta venga vanificato da una variazione sfavorevole del tasso di cambio, rappresenta un’ulteriore fonte di rischio nell’investimento obbligazionario.
Vuoi saperne di più?
Iscriviti a www.accademiadeltrading.com per continuare a leggere questi post esclusivi.