LA CARTOLARIZZAZIONE
Per cartolarizzazione (o securitization) si intende il processo tramite il quale una serie di attività (es. crediti, titoli, immobili, ecc.) vengono utilizzati per garantire il rimborso di titoli obbligazionari definiti Asset Backed Securities (ABS) emessi da un intermediario finanziario. Tramite la cartolarizzazione è possibile smobilizzare attività il cui grado di liquidità/esigibilità è particolarmente basso, vendendo titoli (e monetizzando il prezzo ricevuto) che verranno poi rimborsati per il tramite dei flussi di cassa generati dall’attività oggetto di cartolarizzazione. Ciò che rende la cartolarizzazione particolarmente attinente ai prodotti strutturati è la natura stessa dell’operazione.
Nella cartolarizzazione si acquisiscono disponibilità finanziarie raccolte tramite l’emissione di titoli, che verranno poi investite in altre attività precedentemente identificate. Dato che generalmente le attività nelle quali vengono investite le risorse raccolte sono più d’una e costituiscono quindi un portafoglio di investimento strutturato da diversi asset, le similitudini con il concetto di prodotto strutturato sono immediate. Il processo di cartolarizzazione e l’immissione sul mercato di titoli collegati alle performance di altre attività è stato identificato come un elemento distintivo del meccanismo di trasmissione degli effetti della crisi finanziaria verificatasi a partire dal 2007-2008. Vediamo quindi i meccanismi tipici di un processo di cartolarizzazione:
il collegamento tra cartolarizzazione e prodotti strutturati;
il ruolo della cartolarizzazione nella crisi finanziaria.
Per porre in essere una cartolarizzazione è necessario disporre/identificare attività in grado di generare flussi finanziari. Tali flussi saranno necessari per garantire i rendimenti dei titoli emessi. Al fine di illustrare le dinamiche della crisi finanziaria del 2007 ipotizziamo che tali attività siano rappresentati da mutui ipotecari. L’idea alla base della cartolarizzazione è che nessun investitore sarebbe disposto ad accollarsi il rischio di un singolo mutuo, dato che in caso di insolvenza del debitore-mutuatario l’intero investimento rischierebbe di essere perso. Tale affermazione è ancor più vera quando si tratta di mutui sub-prime, ovvero mutui emessi nei confronti di soggetti che, rispetto ai clienti più affidabili (cosiddetti clienti prime), si collocano su livelli di affidabilità inferiori (appunto sub-prime) in quanto nel recente passato hanno già avuto problemi/ritardi nel rimborso di finanziamenti. Se quindi anziché investire in un singolo mutuo, si prende un insieme di mutui (pool) e a fronte di questo portafoglio si emettono una serie di titoli, allora il rischio viene ripartito tra tutti gli investitori, rendendo la rischiosità dell’investimento inferiore, dato che la probabilità che tutti i debitori vadano in default contemporaneamente è notevolmente più bassa rispetto all’eventualità che un singolo debitore risulti insolvente.
STRUTTURA E SOGGETTI COINVOLTI
La cartolarizzazione può essere divisa in diverse fasi, ciascuna delle quali vede coinvolti soggetti con ruoli diversi.
STEP 1 - Individuazione di un pool di crediti omogenei nel portafoglio dell’intermediario che li ha erogati.
La struttura dell’operazione, nel caso dei mutui sub-prime relativi al mercato americano, vede un originator selezionare la clientela che beneficerà dei mutui (ruolo svolto da una o più banche direttamente o per il tramite di agenti incaricati di gestire i contatti con la clientela-debitrici).
STEP 2 - Vendita dei crediti a una struttura creata ad hoc
Tali mutui verranno ceduti a una società appositamente costituita per gestire l’operazione: la cosiddetta Special Purpose Vehichle o SPV). Tale società acquista i mutui appena erogati utilizzando le risorse finanziarie provenienti dai ricavi derivanti dalla vendita sul mercato di titoli – le Asset Backed Securities (o ABS) – che sono formalmente collegati ai mutui oggetto dell’operazione e per i quali gli investitori sono consapevoli del collegamento.
STEP 3 - Collocamento di titoli negoziabili (Asset-Backed Securities - ABS) Nella fase di collocamento il tramite tra originator-SPV e investitori – siano essi istituzionali (es. Fondi comuni di investimento, fondi pensione, hedge funds, ecc.) o retail (es. singoli investitori/risparmiatori) – viene assicurato da una investment bank.
È in genere una investment bank anche quella che si occupa di strutturare e coordinare l’operazione, assumendo il ruolo di arranger. Tra i compiti dell’arranger c’è anche quello di far valutare l’operazione a una agenzia di rating, incaricata di fornire ai potenziali investitori una stima della rischiosità (rating). In termini di rischiosità ha rappresentato una pratica diffusa l’acquisto da parte del SPV di una copertura (totale o parziale) dal rischio default, anche questa in genere fornita da investment banks o da apposite società finanziarie, effettuata per il tramite di Credit Default Swap (CDS).
Questi contratti derivati prevedono pagamenti a seconda del verificarsi o meno del default di un soggetto di riferimento (la reference entity). Nell’ambito di una cartolarizzazione di mutui ipotecari, il CDS prevede che in caso di default dei debitori mutuatari oltre una soglia prestabilita, l’investment bank che svolge nel CDS il ruolo di “assicuratore” o venditore di protezione (c.d. protection seller) rimborserà la controparte (c.d. protection buyer) della perdita derivati dal portafoglio di mutui oggetto di copertura.
A fronte di tale copertura assicurativa dal rischio di credito del portafoglio mutui, il protection seller si vede riconosciuto un canone periodico. Si può notare come, in presenza di un CDS, la rischiosità dei debitori-mutuatari sub-prime viene coperta dallo standing creditizio del protection seller. Se un investitore è consapevole che in caso di default dei crediti in portafoglio, grazie al CDS, la perdita verrà coperta da un soggetto terzo, sarà la solvibilità di questo soggetto quella sulla quale farà affidamento. Il rischio dell’investimento diventa quindi il rischio che il venditore di protezione non sia in grado di far fronte ai propri impegni.
Dato che il ruolo di protection sellers nei CDS era ricoperto da investment bank con elevato standing creditizio (massimo rating , ovvero rating AAA), l’operazione nel suo complesso presentava il vantaggio di mantenere l’elevata redditività offerta da mutui erogati a soggetti “individualmente” rischiosi (e quindi chiamati a pagare tassi di interessi elevati), mitigandone la rischiosità sia tramite la polverizzazione del rischio ottenuta tramite la diversificazione tipica della gestione di portafoglio (i mutui raccolti in pool vedono il rischio del singolo mutuo essere ripartito tra una pluralità di investitori), sia tramite il ricorso a forme di mitigazione del rischio artificiali/esterne, ottenute per il tramite dei CDS.
STEP 4 - Gestione dei mutui
Una volta avviata l’operazione, i mutui – che ormai non sono più di proprietà della banca erogatrice, la quale li ha trasferiti alla SPV – vengono gestiti da un soggetto che si fa carico di gestire i rapporti con i mutuatari, incassando le rate periodiche e inoltrandole alla SPV. Tale ruolo veniva generalmente assegnato alla stessa banca originator, che in tal modo riscuoteva le rate presso le sue filiali, così come avrebbe fatto nel caso di un’erogazione di un mutuo rimasto di proprietà dell’intermediario. Non era altresì inconsueto che il cliente-debitore fosse ignaro del trasferimento della proprietà del mutuo alla SPV.
La figura mostra uno schema di sintesi del processo di cartolarizzazione appena descritto.
Al fine di estremizzare l’effetto di portafoglio e la relativa diversificazione del rischio, sono state poste in essere cartolarizzazioni basate su diversi pool di crediti (diverse ABS), che hanno visto l’emissione di Collateralized Debt Obligation (o CDO). Rispetto alle ABS, le CDO avrebbero dovuto diversificare ulteriormente il portafoglio, riducendo ancora il rischio dell’investimento.
Sono state altresì poste in essere operazioni dove il denaro raccolto sul mercato a fronte di un’emissione di titoli è stato investito in una pluralità di operazioni a loro volta oggetto di cartolarizzazione, ovvero in un portafoglio di CDO. I titoli oggetto di questo ulteriore livello di cartolarizzazione su titoli già cartolarizzati sono stati definiti CDO-squared (o CDO2) o anche “CDO sintetici”. Come si può intuire, il default delle attività originarie (mutui), qualora di dimensione tale da provocare il fallimento dei CDO, ha la potenzialità di innescare un effetto domino tale da poter generare a cascata anche il default dei CDO-squared.
CARTOLARIZZAZIONE E CRISI FINANZIARIA
Sul piano strettamente tecnico, il processo di cartolarizzazione può essere riconosciuto come un processo virtuoso.
Grazie alla cartolarizzazione vengono erogati mutui a soggetti che altrimenti non avrebbero ottenuto credito (il rischio di un singolo mutuo o di un numero ristretto di mutui, non garantendo gli effetti di diversificazione del rischio ottenuto tramite la raccolta in pool di un numero elevato di posizioni, non avrebbe trovato un intermediario disposto a correre da solo tale rischio e quindi a erogare i mutui in questione) o comunque ha consentito loro di ottenere credito a condizioni migliori.
Allo stesso tempo l’offerta di credito ha consentito un sostegno alla domanda del mercato immobiliare, consentendo ai potenziali acquirenti di ottenere le somme necessarie per procedere all’acquisto, con effetti di sostegno allo sviluppo economico in generale. Nel frattempo, anche gli investitori – soprattutto gli investitori istituzionali con vincoli alla rischiosità degli investimenti (es. fondi pensione) – hanno avuto la possibilità di investire in titoli che, grazie all’effetto diversificazione garantito dalla cartolarizzazione e alla copertura offerta dai protection seller dei CDS, presentavano un rischio medio inferiore a quello dei singoli mutui facendo rientrare tali titoli (le ABS) nelle soglie di rischiosità consentite, mettendo tali investitori in condizione di investire in attività a rendimento elevato. Le criticità emerse in questa struttura sono da rintracciarsi nelle modalità con le quali il processo è stato posto in essere.
CRITICITÀ 1 – SCREENING CREDITIZIO INEFFICACE –
Le banche, nella consapevolezza che i crediti erogati sarebbero stati oggetto di cartolarizzazione e che l’unico elemento di redditività per la banca sarebbe costituito dalle commissioni percepite per l’erogazione, hanno cominciato a essere meno selettive nei confronti della clientela, riconoscendo come meritevoli anche soggetti che mostravano evidenti segni di criticità (es. fenomeni di insolvenza manifestati nel recente passato, soglie di indebitamento in essere elevate, assenza di stabili fonti di reddito in grado di rendere il debito sostenibile, ecc.). Ciò ha avuto l’effetto di innalzare il tasso di insolvenza medio dei portafogli, riducendo l’effetto di diversificazione del rischio relativo alla gestione in pool dei crediti. Qualora si fosse evitato/controllato il conflitto di interesse nel quale le banche si sono trovate a operare – relativo alla consapevolezza che la mancata erogazione di un mutuo a un soggetto con scarso merito creditizio avrebbe comportato per la banca la mancata percezione di un margine commissionale, e al tempo stesso la consapevolezza che il rischio di credito derivante dall’emissione del credito in oggetto non sarebbe stata di competenza della banca – la naturale rischiosità del mercato non avrebbe visto un peggioramento della qualità del credito erogato tale da far saltare le stime di default fatte dagli operatori.
CRITICITÀ 2 – CONCENTRAZIONE DEL RISCHIO NEL MEDESIMO SETTORE DI INVESTIMENTO (MERCATO IMMOBILIARE) –
La capacità del processo di cartolarizzazione di ottimizzare la gestione del rischio, distribuendola tra una pluralità di soggetti si basa su una diversificazione del portafoglio in asset (i mutui erogati) che siano tra loro quanto più bassamente correlati possibili. La concentrazione degli investimenti nel comparto immobiliare residenziale al contrario ha visto i portafogli essere costituiti da asset (mutui) tra loro fortemente correlati per il fatto di essere tutti collegati ai valori degli immobili finanziati. Quando il valore degli immobili ha cominciato a ridursi (il c.d. scoppio della “bolla speculativa” sul mercato immobiliare) i soggetti con immobili il cui valore si è deprezzato fino al di sotto del valore del mutuo (debito residuo) si sono avvalsi della possibilità offerta loro dalla normativa di riferimento di interrompere i pagamenti e lasciare che il creditore li spossessasse dell’immobile oggetto di ipoteca. Dato il trend decrescente del mercato, la vendita all’asta degli immobili ha generato perdite per le SPV che non riuscivano a recuperare dalla vendita dell’immobile il capitale investito nell’erogazione del mutuo. Inoltre, la vendita degli immobili da parte delle SPV ha accentuato la discesa dei prezzi del mercato, accelerando lo sgonfiamento della bolla speculativa, e facendo aumentare il numero di insolvenze. Qualora il principio della diversificazione degli investimenti fosse stato applicato correttamente, tenendo conto dell’alta concentrazione dei portafogli nel medesimo settore (quello immobiliare), il rischio di un innalzamento dei tassi di default tale da vanificare l’effetto di portafoglio (diversificazione) sarebbe stato evitato.
CRITICITÀ 3 – ECCESSIVA ESPOSIZIONE DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI NELL’OFFERTA DI COPERTURA –
Lo scoppio della bolla speculativa del mercato immobiliare e il conseguente aumento dei tassi di insolvenza da parte dei debitori-mutuatari hanno visto il superamento delle soglie di insolvenza che hanno fatto scattare per i venditori di protezione dei CDS (le investment banks) l’obbligo di pagare per le perdite subite dai protection buyers (SPV). L’eccessiva esposizione da parte dei protection buyer ha determinato il completo assorbimento del loro capitale, destinato all’attività risarcitoria offerta per il tramite dei CDS. Terminato il capitale a disposizione le ulteriori richieste di risarcimento provenienti dalle controparti dei CDS sono risultate prive di copertura finanziaria, spingendo i protection seller in uno stato di insolvenza che in alcuni casi ha richiesto un intervento di salvataggio statale (si vedano i casi di Fannie Mac, Freddie Mae, ecc.) e in altri casi ha visto gli operatori dichiarare fallimento (es. Lehman Brothers). Il venir meno della copertura del CDS ha scaricato le perdite sugli investitori delle ABS (titoli cartolarizzati). Inoltre, nei casi di investitori con vincoli alla rischiosità del portafoglio (es. fondi pensione), il fallimento del protection seller ha implicato un innalzamento del rischio dell’investimento (i debitori-mutuatari sono tornati a essere il punto di riferimento per valutare il rischio dell’investimento) con l’effetto che le ABS acquistate non rispettavano più i limiti di rischiosità consentiti. La vendita in massa sul mercato secondario di tali titoli ne ha visto il crollo delle quotazioni che ha accelerato l’effetto sui mercati dei singoli fallimenti. Qualora l’esposizione delle investment bank attive nei CDS come protection sellers fosse stata contenuta entro i limiti dei capitali disponibili il processo di cartolarizzazione non avrebbe avuto gli effetti destabilizzanti che ha mostrato.
CRITICITÀ 4 – INADEGUATA SUPERVISIONE DA PARTE DELLE AUTORITÀ DI VIGILANZA –
Lo svilupparsi delle cartolarizzazioni su crediti bancari ha visto il progressivo abbandono da parte degli intermediari del modello di business tradizionale - definito originate to hold - nel quale la banca che effettua la valutazione del merito creditizio, lo fa nella consapevolezza che investe direttamente le proprie risorse e che il credito erogato (e il relativo rischio) rimarrà all’interno della banca fino al termine dell’operazione. A questo si è sostituito un modello originate to distribuite nel quale la banca si specializza nella fase di selezione della clientela (fase di screening) lasciando che sia il mercato finanziario a farsi carico del rischio, incorporato nei titoli (ABS) collocate presso gli investitori. Le criticità strutturali derivanti da tale cambiamento del business non sono state colte a pieno dalle autorità di vigilanza, sia in termini economici (es. presenza di conflitti di interesse per le banche-originator e peggioramento della qualità del processo di screening) sia in termini di potenziali impatti finanziari (es. impatto sulle correlazioni dei rischi e adeguatezza patrimoniale per i soggetti coinvolti nella gestione dei rischi). Tutto ciò non ha consentito alle autorità di vigilanza di prevenire e/o contenere l’impatto della crisi del mercato immobiliare sul mercato finanziario, richiedendo interventi di salvataggio da porre in essere quando le criticità del sistema avevano già prodotto i loro effetti negativi.