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Funzioni e classificazione dei mercati finanziari


Il mercato finanziario può essere definito come l’insieme degli scambi aventi per oggetto strumenti finanziari. Con riferimento alla natura degli strumenti negoziati è possibile distinguere al suo interno tra mercato creditizio, mercato mobiliare e mercato assicurativo.

Mercato creditizio Il mercato creditizio si caratterizza per l’elevato grado di personalizzazione dei contratti (mutui, aperture di credito, ecc.). Le parti sono libere di definire le caratteristiche e le condizioni di ogni singolo rapporto o operazione (importi, tassi di interesse, durata, costi, ecc.). Mercato mobiliare Il mercato mobiliare si distingue per l’elevato grado di standardizzazione degli strumenti finanziari in esso negoziati (azioni, obbligazioni societarie, titoli di Stato, ecc.) e per la presenza di un mercato secondario (borsa valori) nel quale i titoli in circolazione possono essere negoziati prima della loro naturale scadenza. Mercato assicurativo Nel mercato assicurativo gli operatori si accordano per trasferire, tramite appositi strumenti (polizze), rischi di diversa natura. Nel mercato assicurativo si è soliti distinguere il “ramo danni” dal “ramo vita”. Mentre nel primo vengono gestiti i rischi di danneggiamento di cose o persone, nel secondo le prestazioni dei contratti sono collegate ad eventi che riguardano la vita di uno o più individui (sopravvivenza, malattia, morte).

Oltre alla distinzione fondamentale, basata sulla natura degli strumenti negoziati, che separa tra loro il comparto creditizio, quello mobiliare e quello assicurativo, è possibile classificare i mercati seguendo criteri differenti. Nel prosieguo si farà riferimento principalmente ai mercati mobiliari, anche se gran parte delle considerazioni sono comunque valide anche per gli altri comparti del sistema finanziario. In base alla funzione svolta dal mercato si distinguono i mercati primari dai mercati secondari.

Mercato primario Il mercato primario è costituito dall’insieme delle negoziazioni aventi per oggetto titoli di nuova emissione e che quindi, per definizione, vengono offerti “per la prima volta”. In esso sono proposti strumenti emessi da un soggetto (un’impresa, uno Stato, un ente pubblico, ecc.) al fine di ottenere credito (per esempio attraverso obbligazioni), raccogliere capitale di rischio (azioni) o gestire dei rischi (strumenti derivati). Trattandosi di titoli di nuova emissione, ogni scambio che avviene sul mercato primario contribuisce ad aumentare il numero di titoli in circolazione. I mercati primari non di rado sono anche detti mercati delle IPO (Initial Public Offer). Una IPO è un’operazione attraverso la quale un emittente cerca di entrare in contatto con gli investitori al fine di diffondere propri strumenti finanziari di nuova emissione, solitamente con l’intento di quotare poi gli stessi titoli su di un mercato regolamentato. Mercato secondario Una negoziazione appartiene al mercato secondario se ha ad oggetto titoli già emessi in precedenza, che erano quindi già in circolazione. Nel mercato secondario non vengono immessi nuovi strumenti finanziari, né vengono necessariamente coinvolti gli emittenti. Ciò che avviene è il trasferimento della titolarità di un titolo da un soggetto (venditore) a un altro (acquirente).

Considerando la scadenza degli strumenti finanziari negoziati si distinguono i mercati monetari dai mercati di capitale.

Mercati monetari In tale mercato si scambiano strumenti finanziari con le seguenti caratteristiche: i.) appartengono alla categoria degli strumenti di debito (es. titoli di Stato come i BoT); ii.) sono a breve e brevissimo termine (spesso la loro scadenza è misurata in giorni e comunque non supera i 12 mesi); iii.) sono altamente negoziabili, liquidi, e, dunque, prossimi al concetto di denaro contante; iv.) il rischio di insolvenza di chi li emette è trascurabile; v.) le loro negoziazioni si realizzano per importi molto elevati. Si può affermare che il mercato monetario, negoziando titoli di breve e brevissima scadenza, soddisfa, conseguentemente, le esigenze di liquidità di breve e brevissimo periodo degli operatori (es. Ministero dell’Economia e delle Finanze, Banca centrale europea, banche, grandi imprese, ecc.), consentendo loro di investire risorse in eccesso rispetto alle spese correnti o di prendere denaro a prestito per far fronte a improvvise e temporanee esigenze di spesa. Mercati dei capitali Il mercato dei capitali è invece connesso agli investimenti e ai finanziamenti di medio (dai 18 ai 60 mesi) e lungo (oltre i 60 mesi) termine o a scadenza indeterminata.

In base alle quantità oggetto della singola transazione è possibile distinguere tra mercati al dettaglio (retail market) e mercati all’ingrosso (wholesale market).



Mercati al dettaglio Nei mercati al dettaglio rientrano le negoziazioni aventi a oggetto modeste quantità di strumenti finanziari. Un mercato al dettaglio è in genere identificabile come tale per l’assenza o il basso importo di quantità minime di negoziazione. Mercati all’ingrosso In un mercato all’ingrosso avvengono scambi caratterizzati da tagli di dimensioni rilevanti e dal divieto di proporre compravendite per quantità inferiori a una determinata soglia (lotti minimi di negoziazione).

Con riferimento alle modalità di negoziazione si distinguono i mercati ad asta (order driven) dai mercati di market maker (quote driven).

Mercati ad asta Nei mercati ad asta il prezzo è determinato confrontando le proposte di negoziazione (proposte in acquisto e proposte in vendita) immesse da diversi operatori che rispettivamente domandano e offrono un determinato titolo. L’espressione order driven che viene associata ai mercati ad asta richiama il fatto che in questo sistema il prezzo è determinato dal confronto di ordini (order) relativi a un insieme omogeneo di operatori. Mercati di market maker Un mercato di market maker è un mercato dove un soggetto, generalmente un intermediario, si pone come controparte diretta di tutti gli altri operatori, impegnandosi ad acquistare da chiunque voglia vendere e vendere a chiunque voglia acquistare, dichiarando i prezzi (o meglio le “quotazioni”) ai quali intende comprare e vendere. Dato che il prezzo non è più guidato dagli ordini degli operatori ma è definito dal market maker che espone le quotazioni (quote), i mercati di market maker sono anche detti mercati “quote driven”. Rispetto ai mercati order driven, dove è possibile definire un unico prezzo di mercato, nei mercati quote driven il market maker definisce prezzi diversi per gli acquisti e per le vendite. Inoltre, mentre in un mercato quote driven gli operatori possono indicare nella loro proposta di negoziazione il prezzo al quale sono disposti ad acquistare o a vendere un determinato titolo, nei mercati di market maker gli operatori possono solo scegliere di aderire alle proposte del market maker che ha fissato i prezzi. Il differenziale tra il prezzo, più basso (bid quote), al quale il market maker è disposto ad acquistare dal mercato, e il prezzo più alto (ask quote), al quale è invece disposto a vendere, viene definito bid-ask spread. Il bid-ask spread è generalmente utilizzato come parametro di efficienza di un mercato: minore è il bid-ask spread, maggiore è l’efficienza del mercato.

Valutando la localizzazione degli scambi è possibile distinguere i mercati fisici (open outcry market) dai mercati telematici (electronic market).

Mercati fisici Nei mercati fisici, detti anche “mercati alle grida”, gli operatori che vogliono negoziare un determinato strumento finanziario si incontrano fisicamente in un luogo (borsa) e interagiscono al fine di identificare una controparte disposta a chiudere una transazione alle condizioni di prezzo e di quantità richieste. Mercati telematici Nei mercati telematici gli operatori immettono le proprie proposte di negoziazione (ordini di acquisto o di vendita) in un sistema elettronico che, seguendo delle regole e dei criteri prestabiliti, abbina tra loro le proposte compatibili dando luogo alle negoziazioni. Mentre nei mercati fisici gli operatori devono necessariamente essere presenti sul mercato, nei mercati telematici è possibile un accesso remoto (remote access). Gli operatori possono cioè inviare i propri ordini tramite dei collegamenti a distanza, senza doversi recare fisicamente sul mercato. Si noti come, grazie al remote access, un operatore possa operare contemporaneamente su due o più mercati, mentre i mercati in presenza fisica obbligano un operatore - che non può fisicamente essere presente in due luoghi contemporaneamente – a scegliere il mercato sul quale negoziare.

In base alla presenza o meno di regole che definiscono le modalità attraverso le quali si incontra la domanda e l’offerta di strumenti finanziari è possibile distinguere i mercati regolamentati dai mercati non regolamentati (od over the counter - OTC). Tuttavia, è bene precisare che tra queste due macro-categorie di mercati si frappone una zona d’ombra, come il caso degli MTF (sistema multilaterale di negoziazione), degli OTF (sistema organizzato di negoziazione) e degli internalizzatori sistematici, dei quali si dirà più avanti, dove il legislatore non chiarisce in modo puntuale a quale delle due sopraccitate categorie facciano parte, ma fornisce comunque dei chiari indizi per la loro categorizzazione. Infatti, sia la MiFID (Direttiva 2004/39/CE) – all’art. 4, comma 15 – sia il suo aggiornamento noto come MiFID II (Direttiva 2014/65/UE) – all’art. 4, comma 22 – definiscono gli MTF come “sistema multilaterale gestito da un’impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l’incontro - al suo interno ed in base a regole non discrezionali - di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti ai sensi delle disposizioni del titolo II”. Su tale scorta, sembra dunque lecito assimilare gli MTF ai mercati regolamentati. Per quanto concerne gli OTF, la MiFID II all’art. 20, comma 6, prevede che “gli Stati membri prescrivono che l’esecuzione degli ordini in un sistema organizzato di negoziazione sia realizzata su base discrezionale. Ciò conduce ad aggregare gli OTF ai mercati non regolamentati. In ultimo, la MiFID II (considerazioni inziali, comma 17) chiarisce anche che “gli internalizzatori sistematici dovrebbero essere definiti come imprese di investimento che, in modo organizzato, frequente, sistematico e sostanziale, negoziano per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di un mercato regolamentato, di un sistema multilaterale di negoziazione o di un sistema organizzato di negoziazione”.




Mercati regolamentati Un mercato si definisce regolamentato quando è presente la figura di un gestore del mercato che definisce le regole e le procedure mediante le quali vengono selezionati gli strumenti negoziabili sul mercato stesso, definisce i requisiti che gli operatori devono avere per essere ammessi alle negoziazioni e, in generale, definisce le regole di funzionamento del mercato. Le borse valori sono tipici esempi di mercati regolamentati. Mercati non regolamentati Il mercato non regolamentato accoglie tutti quegli scambi di valori mobiliari che avvengono fuori dei mercati regolamentati. Un esempio di negoziazione avvenuta fuori dei mercati regolamentati è quella in cui un investitore entra in contatto direttamente con un altro investitore al quale vende dei titoli. Dato che lo scambio non è avvenuto in borsa ma tramite il contatto diretto degli investitori, la negoziazione si considera avvenuta sul mercato non regolamentato.

Con specifico riferimento ai mercati di borsa è possibile distinguere i mercati ad asta a chiamata dai mercati a negoziazione continua.



Mercati ad asta a chiamata In questi mercati la singola giornata borsistica è ripartita in intervalli omogenei di tempo, in ognuno dei quali è possibile negoziare un singolo titolo. La giornata borsistica è quindi organizzata in modo tale che si procede a negoziare il primo titolo per un primo intervallo di tempo nel quale gli operatori immettono le loro proposte di negoziazione. Al termine di tale periodo viene definito il prezzo di mercato al quale verranno conclusi tutti quei contratti che risultano compatibili con tale prezzo, mentre le proposte di negoziazione che non hanno trovato esecuzione sono cancellate dal mercato. Definito il prezzo per il primo titolo e conclusi i relativi contratti si passa a negoziare il secondo titolo. Dopo che gli operatori hanno inserito le proposte di negoziazione sul secondo titolo e una volta terminato il tempo previsto per la trattazione di tale strumento si procede a definire il prezzo di mercato, a concludere i contratti e a cancellare le proposte non abbinate, per passare poi a negoziare il titolo successivo. Tale procedimento sarà ripetuto per ognuno dei titoli quotati in modo tale che al termine della giornata ogni titolo sarà stato oggetto di trattazione da parte del mercato. Mercati a negoziazione continua In un mercato a negoziazione continua ogni singolo titolo può essere negoziato in ogni momento della giornata di borsa: tutti gli scambi avvengono quindi non più in modo sequenziale ma in parallelo. Nei mercati a negoziazione continua vengono conclusi contratti sul medesimo titolo durante tutta la giornata di borsa. Ogni volta che due operatori immettono sul mercato proposte di negoziazione compatibili viene chiusa una negoziazione e viene definito un prezzo di mercato. Dato che le condizioni di mercato possono variare durante la giornata, è probabile che in un mercato a negoziazione continua diversi contratti vengano conclusi a diversi prezzi. Mentre quindi il prezzo di un titolo in un mercato ad asta a chiamata è unico per tutti gli scambi della giornata, un mercato a negoziazione continua definisce tanti prezzi quanti sono gli scambi avvenuti sul mercato.

È infine possibile distinguere i mercati a pronti dai mercati a termine.

Mercati a pronti I mercati a pronti sono anche detti “spot market” o “mercati a contante”. Allo stesso modo ci si riferisce ai mercati a termine anche con le espressioni “derivative market” o mercati dei derivati. La distinzione tra mercati a pronti e mercati a termine richiede la definizione di cosa sia il “regolamento” di una negoziazione di borsa. Per regolamento di una negoziazione si intende la fase nella quale le parti di una negoziazione, dopo aver trovato l’accordo sulla quantità e sul prezzo al quale scambiarsi un determinato titolo, procedono effettivamente a trasferire i titoli a fronte del pagamento del prezzo. Nei mercati a pronti è previsto che il regolamento di una transazione avvenga entro tre giorni dal momento in cui le parti si sono accordate. Mercati a termine Nei mercati a termine è previsto che, dopo l’accordo, le parti diano effettivamente luogo allo scambio a una data futura (termine) prestabilita. Dato che la caratteristica di prevedere un lasso temporale tra il momento dell’accordo e il momento del regolamento è tipica degli strumenti finanziari derivati, i mercati a termine sono anche detti mercati dei derivati o i derivative market.



Le figure del mercato e la catena del valore dei mercati


Se il mercato finanziario, nella sua accezione più ampia, riguarda l’insieme degli scambi aventi per oggetto uno strumento finanziario, si possono distinguere al suo interno una pluralità di soggetti che operano con finalità e compiti differenti. Vengono di seguito identificate le principali figure del mercato, per le quali identifichiamo ruoli e caratteristiche.

Gli emittenti Gli emittenti rappresentano i soggetti che, dal lato dell’offerta, contribuiscono ad alimentare il mercato inserendo nuovi strumenti finanziari. A seconda dello strumento emesso potremo avere emittenti di titoli obbligazionari (es. società, Governi nazionali, enti sovranazionali, ecc.), titoli azionari (es. imprese), quote di fondi comuni di investimento (es. società di gestione del risparmio), ecc. Come già anticipato, la finalità degli emittenti è raccogliere risorse finanziarie (es. tramite l’emissione di azioni e obbligazioni) e/o gestire dei rischi (es. strumenti derivati), per finalità che possono essere di breve periodo (mercato monetario) o di medio-lungo periodo (mercato dei capitali). Gli investitori Gli investitori alimentano la domanda del mercato finanziario e operano con la finalità di investire risorse finanziarie nella prospettiva di ottenere un rendimento, con la consapevolezza di assumersi dei rischi (es. investitori in azioni, obbligazioni, fondi comuni di investimento), oppure nel tentativo di gestire dei rischi finanziari (es. operatori in derivati che operano con finalità di copertura). Nel momento in cui decidono di chiudere la loro posizione e alienare titoli precedentemente acquistati gli investitori alimentaranno l’offerta del mercato (mercato secondario). Gli intermediari finanziari Gli intermediari finanziari sono soggetti specializzati nella produzione, distribuzione e negoziazione di strumenti e servizi finanziari. Il ruolo degli intermediari è quello di facilitare l’incontro tra domanda e offerta. A seconda delle modalità con le quali si pone in essere tale attività si parlerà di intermediazione finanziaria “pesante” o “leggera”. Nel primo caso l’intermediario si pone come controparte diretta di due soggetti che manifestano esigenze e finalità opposte. Ad esempio, si tratta di intermediazione finanziaria pesante nel caso in cui una banca raccolga risparmio tra il pubblico tramite l’apertura di depositi nei confronti della clientela dei risparmiatori, e utilizzi i fondi raccolti per erogare credito nei confronti di clienti che manifestino l’esigenza di ottenere un finanziamento. Il differenziale di prezzo tra il costo della raccolta (es. interessi riconosciuti sui depositi) e il rendimento degli impieghi (es. interessi percepiti dai crediti erogati) rappresenta il rendimento ottenuto dall’attività di intermediazione (c.d. margine di interesse) che è ottenuto a fronte del rischio corso nella gestione dell’attività bancaria. La caratteristica propria dell’intermediazione pesante è quella di vedere l’intermediario farsi carico dei rischi derivanti dai rapporti tenuti con un lato del mercato (debitori), dei quali vengono sollevati gli operatori dell’altro lato (depositanti creditori). Si parla di intermediazione leggera quando l’attività svolta dall'intermediario si limita alla ricerca di una controparte che, una volta trovata, è messa in relazione diretta con il soggetto, che quindi chiude un rapporto diretto con l’intermediario. È un esempio di intermediazione leggera quella che vede una banca collocare titoli emessi da una società offrendoli alla propria clientela. Una volta trovato un accordo tra emittente e investitore, la banca non assume nessuna posizione diretta nei confronti delle parti, che quindi si fanno carico di un rapporto bilaterale. Mentre quindi il cliente di una banca che ha depositato i suoi risparmi presso di essa non può essere chiamato a rispondere delle eventuali perdite da questa subite nell'erogazione di credito, un cliente che avesse acquistato titoli obbligazionari emessi da una società e collocati da una banca, non potrebbe rivalersi nei confronti di quest’ultima in caso di default dell’emittente dei titoli obbligazionari. Con riferimento specifico all’attività in valori mobiliari, si possono distinguere tre tipologie di intermediari: broker, dealer, market maker. Un "broker" è un intermediario che assume l’incarico di cercare sul mercato una controparte per una richiesta di negoziazione ricevuta da un cliente-investitore. L’intermediario (es. banca, sim, ecc.) che riceve una richiesta di acquisto di un determinato titolo (es. azioni della società X) si impegna a cercare sul mercato una controparte disposta a vendere un quantitativo pari a quello richiesto dal cliente a un prezzo compatibile con le richieste di quest’ultimo. L’intermediario in tal caso si limita a eseguire un ordine ricevuto e a farsi pagare una commissione per il servizio svolto, non risultando quindi coinvolto nella negoziazione che vedrà interfacciarsi il cliente acquirente con la controparte trovata sul mercato disposta a operare come venditore. Un intermediario finanziario può altresì operare come “dealer” e porre in essere una negoziazione in conto proprio, ovvero prendendo una posizione sul mercato come acquirente o come venditore, impegnando disponibilità proprie e facendosi carico dei rischi dell’operazione. Gli eventuali profitti e perdite dell’operazione andranno ad alimentare il risultato di esercizio dell’intermediario. Nel caso un intermediario operi come “market maker”, come detto in precedenza, questo si trova ad assumere l’impegno di soddisfare le richieste che verranno dal mercato, acquistando dai soggetti che chiedono di vendere e vendendo ai soggetti che chiedono di acquistare un determinato strumento sul quale l’intermediario ha accettato di svolgere il ruolo di market maker. Se la discrezionalità nel porre in essere la negoziazione viene meno (l’intermediario assume l’obbligo a negoziare nei confronti di chiunque ne faccia richiesta, seppur entro i limiti quantitativi prefissati), il market maker è disposto a negoziare alle condizioni di prezzo da esso stabilite, che differiscono in caso di acquisti e vendite. Le Borse valori Le borse valori (c.d. exchange) sono intermediari finanziari specializzati nell’organizzazione di strutture, regole e procedure volte a facilitare l’incontro tra domanda e offerta di strumenti finanziari. Le società dedite alla gestione di un mercato di borsa (c.d. società mercato) sono società il cui scopo esclusivo è quello di gestire mercati di borsa (uno o più contemporaneamente) potendo svolgere, in aggiunta a tale attività, solo attività rispetto a essa ancillari. Una borsa valori è chiamata a definire le regole in base alle quali un titolo è ammesso alle negoziazioni (c.d. listing), a identificare i criteri che devono rispettare gli intermediari ammessi alle negoziazioni, a definire le regole in base alle quali le negoziazioni avranno luogo (c.d. trading) e definire le procedure per la regolazione degli scambi, una volta avvenuti (c.d. clearing and settlement). Per lo svolgimento dell’attività di compensazione (c.d. clearing), in base alla quale un operatore che avesse posto in essere una pluralità di operazioni viene chiamato a corrispondere o a percepire il risultato ottenuto al netto di eventuali compensazioni, le società mercato possono avvalersi del servizio di società specializzate (c.d. società di clearing), la cui attività ha il valore aggiunto di minimizzare il numero e i volumi di titoli trasferiti tenendo conto delle compensazioni avvenute, ad esempio, nel caso di soggetti che, acquistati dei titoli in un determinato momento, si fossero poi trovati a rivenderli nello stesso mercato, per poi acquistarli nuovamente e infine rivenderli. L’attività di clearing è quella che evita i quattro passaggi di proprietà e i quattro flussi di cassa corrispondenti, per prendere atto che l’operatore ha posto in essere operazioni che si sono “compensate” tra loro dal punto di vista dei trasferimenti proprietari, generando quindi solo effetti monetari derivati dai rapporti tra prezzi di acquisto e prezzi di vendita, che avranno nel complesso generato un guadagno o una perdita. La fase di “settlement” che segue e nella quale si eseguono le operazioni derivanti dal clearing, precederà – nel caso un soggetto si trovi ad aver acquistato dei titoli, la fase di “custody” dove un intermediario si troverà a gestire per conto di un cliente gli effetti derivanti dalla proprietà dei valori acquistati. A partire dalla fine degli anni ’80, il processo di dematerializzazione dei valori mobiliari, ha visto tale attività di custody concretizzarsi nell’interfacciamento degli intermediari “custodi” con una società di gestione accentrata, il cui compito è attestare la titolarità di valori mobiliari non più rappresentati da certificati cartacei. Nel caso del mercato italiano tale ruolo è svolto dalla Monte Titoli SpA. Qualunque trasferimento di proprietà dovrà avvenire con il coinvolgimento della Monte Titoli che dovrà attestare la legittima proprietà da parte del venditore dei titoli oggetto di scambio e che dovrà trasferirne la titolarità alla controparte acquirente una volta effettuato il pagamento del prezzo. I Multilateral Trading Facilities (MTF) La riforma dei mercati di borsa avuta con l’abolizione dell’obbligo di concentrazione degli scambi, stabilito Direttiva 2004/39/CE – conosciuta come MiFID (Markets in Financial Instruments Directive) – ha sancito il termine del monopolio delle negoziazioni dei titoli quotati presso le borse valori, ammettendo la possibilità che titoli quotati potessero essere oggetto di negoziazione in altri luoghi di scambio o “trading venue”. Un Multilateral Trading Facilities è un sistema multilaterale gestito da un’impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l’incontro, al suo interno e in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti per scambiarsi valori mobiliari. Operando generalmente su titoli già oggetto di quotazione in mercati ufficiali, gli MTF hanno rappresentato una modalità attraverso la quale il legislatore ha voluto incentivare la concorrenza nell’ambito del trading. Si tratta, dunque, di veri e propri mercati, concorrenti di quelli regolamentati e dai quali differiscono solo poiché:

  • possono essere gestiti anche da soggetti diversi dalle società di gestione del mercato (come ad esempio banche e sim, purchè autorizzati);

  • possono prevedere un set informativo a disposizione dell’investitore meno ampio (ad esempio negli MTF non sono previsti meccanismi di pubblicità circa gli azionisti di maggioranza, o informazioni in merito alle operazioni sul titolo compiute da parte delle amministrazioni e/o dei sindaci e/o dei dirigenti dell’emittente).

Gli Organized Trading Facilities (OTF) La Direttiva 2014/65/UE – conosciuta come MiFID II –, nel riformare la MiFID, ha tra l’altro introdotto gli OTF quale nuova figura di mercati. Essi si intendono come sistemi multilaterali d negoziazione su cui scambiare valori mobiliari non azionari (non-equity like) sulla base di regole anche discrezionali. In particolare, il TUF li definisce come: «un sistema multilaterale diverso da un mercato regolamentato o da un MTF che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a obbligazioni, strumenti finanziari strutturati, quote di emissioni e strumenti derivati, in modo da dare luogo a contratti […]». Sul piano della loro classificazione sostanziale, gli OTF (“sistemi organizzati di negoziazione", secondo il legislatore italiano) si frappongono quindi tra gli MTF e gli Internalizzatori Sistematici. Infatti, potendo qualificare gli MTF come dei circuiti di scambio di tipo one-to many (cioè un circuito dove ciascun operatore si interfaccia con gli altri) ma sulla base di regole “non discrezionali”, ed essendo gli internalizzatori sistematici dei circuiti di negoziazione di tipo one-to-one (vedi punto successivo), la normativa MiFID non aveva previsto il caso delle negoziazioni one-to-many in presenza di regole di negoziazione anche discrezionali. Gli Internalizzatori Sistematici Figura introdotta dalla MiFID e rivisitata, sotto il profilo dei requisiti di operatività, dalla MiFID II. Per internalizzatore sistematico, si intende l’impresa di investimento che in modo organizzato, frequente, sistematico e sostanziale negozia per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti al di fuori di un mercato regolamentato, di un MTF o di un OTF senza gestire un sistema multilaterale. Il modo frequente e sistematico si misura per numero di negoziazioni fuori listino (OTC) su strumenti finanziari effettuate per conto proprio eseguendo gli ordini dei clienti. Il modo sostanziale si misura per dimensioni delle negoziazioni OTC effettuate dal soggetto su uno specifico strumento finanziario in relazione al totale delle negoziazioni effettuate sullo strumento finanziario dal soggetto medesimo o all’interno dell’Unione europea. A differenza degli MTF e dell’OTF, un internalizzatore sistematico rappresenta quindi un sistema di negoziazione di titoli one-to-one che segue regole di pricing collegate prevalentemente alla logica della trattativa privata di negoziazione, pur essendo la trasparenza delle condizioni di scambio proposte dagli internalizzatori sistematici garantita, dovendo anch’essi rispondere agli obblighi di comunicazione in materia di trasparenza delle negoziazioni e segnalazione di operazioni su strumenti finanziari assicurata dalla normativa di riferimento (TUF e Regolamento Consob in materia di mercati). Le Clearing House Una clearing house è una società che si occupa di svolgere il servizio di clearing sopra richiamato e che, nel caso delle negoziazioni aventi per oggetto strumenti derivati, svolge il ruolo di controparte centrale (c.d. Central Counter Partyo “CCP”). In particolare, una clearing house, una volta identificate sul mercato due proposte di negoziazione compatibili, si pone come acquirente del venditore e come venditore nei confronti dell’acquirente, facendosi carico del rischio di controparte gestito tramite il meccanismo dei margini tipico dei contratti derivati e, in particolare, dei contratti future.



Principali novità in tema di mercati finanziari a seguito della MiFID II


Con riguardo al settore dei mercati finanziari, il recepimento della Direttiva 2014/65/UE (la MiFID II) e del suo Regolamento attuativo (Reg. UE n. 600/2014, anche noto come MiFIR - Markets in Financial Instruments Regulation) ha comportato una revisione ampia al Regolamento Consob recante norme di attuazione del TUF in materia di mercati (di seguito “Regolamento Mercati”), adottato originariamente con delibera n. 16191 del 29 ottobre 2007 e successivamente sostituito con adozione della delibera n. 20249 del 28 dicembre 2017.

La redazione del nuovo Regolamento Mercati, la cui versione corrente è in vigore dal gennaio 2018, ha previsto la revisione di alcune disposizioni del testo previgente, sia l’inclusione di ulteriori materie o di regole di più ampia portata, mantenendo un equilibrio tra la necessità di:

  • trasporre fedelmente il testo letterale della direttiva MiFID II, del Regolamento MiFIR e degli altri atti europei susseguenti e;

  • assicurare la coerenza delle nuove norme alla specificità del sistema nazionale.

La struttura del Regolamento Mercati si articola in sei sezioni principali (cosiddette “Parti”) gran parte delle quali, introdotte o profondamente rinnovate dalla MiFID II. In particolare:

  • è prevista una disciplina sulle Sedi di negoziazione che riguarda in via trasversale l’attività del gestore del mercato regolamentato, l’organizzazione, il funzionamento e l’accesso alle sedi di negoziazione. In questa sezione confluiscono, inoltre, le disposizioni relative alle condizioni per la quotazione di determinate società, già contenute nel previgente Regolamento;

  • è inserita una sezione dedicata ai Servizi di comunicazione dati, cioè l'area di regolamentazione dei fornitori di servizi di comunicazione dati, tesa a fornire una migliore trasparenza informativa all’attività di negoziazione sui mercati dell’Unione europea;

  • una ulteriore sezione è dedicata ai Sistemi interni di segnalazione di violazioni, che nasce come conseguenza dell’attuazione della disciplina dettata dall’art. 4-undecies, comma 4 del TUF, in materia proprio di sistemi di segnalazione di violazioni, destinata ad applicarsi ai gestori di mercati regolamentati e ai fornitori di servizi di comunicazione dati, il cui contenuto confluisce nel testo finale del Regolamento mercati;

  • una sezione del Regolamento riporta la disciplina sui Limiti di posizione e controlli sulla gestione delle posizioni in strumenti derivati su merci, dedicata alla disciplina dei limiti di posizione detenibili, anche a livello aggregato, in strumenti derivati su merci, con la finalità di determinare i dettagli operativi necessari per prevenire l’assunzione di posizioni in grado di produrre distorsioni di mercato o condizioni di mercato non ordinate;

  • nella penultima sezione confluisce la regolamentazione relativa alla Trasparenza delle negoziazioni e segnalazione di operazioni su strumenti finanziari, volta a individuare le norme di dettaglio circa gli obblighi di trasparenza pre-trade e post-trade promossi dal regolamento MiFIR e della regolamentazione europea di secondo livello;

  • l’ultima sezione del Regolamento è, infine, rivolta all’Integrità dei mercati ed è l’unica che non ha ricevuto modifiche di rilievo a seguito della rivisitazione della normativa MiFID (MiFID II).


COLLOCAMENTO DEI TITOLI E IPO

Collocamento privato e collocamento pubblico

Come si è avuto modo di definire, la prima fase della catena del valore di un mercato finanziario è rappresentata dall’emissione dei titoli da parte di un emittente. Questi alimentano il c.d. “mercato primario” e vedono investitori acquistare strumenti finanziari direttamente dall’emittente.

Le modalità di collocamento dei titoli sul mercato primario possono essere definite e classificate in relazione alla loro capacità di garantire l’equilibrio tra domanda e offerta e di evitare casi di insuccesso del collocamento costituiti da eccesso di domanda (prezzo troppo basso) e da eccesso di offerta (prezzo troppo alto o titoli non appetibili per il mercato). Di seguito si esaminano le modalità oggi presenti nel contesto italiano. Un primo modo per conseguire l’efficienza del meccanismo di collocamento è quello di contattare direttamente i potenziali investitori, cercando un accordo preventivo sulle caratteristiche dell’emissione, in termini di condizioni dei titoli da collocare e di quantità collocabile degli stessi. Si parla allora di private placement: in questo caso l’emissione di titoli si avvicina alla logica delle operazioni creditizie, negoziate su basi personalizzate. Nei collocamenti privati gli strumenti finanziari non sono destinati al mercato in generale, ma a un numero limitato di finanziatori. Questa modalità di emissione comporta minori costi di distribuzione e collocamento nonché obblighi informativi ridotti rispetto a quelli previsti per le offerte pubbliche destinate a un ampio numero di investitori e di risparmiatori.

In altre parole… Tale meccanismo è utilizzato ad esempio in occasione degli aumenti di capitale di società non quotate, quando queste decidono di allargare la compagine azionaria a nuovi soci, attraverso la deliberata rinuncia al diritto di opzione da parte dei soci esistenti, oppure quando emettono obbligazioni nei confronti dei propri soci.

Si può inoltre definire private placement il complesso di operazioni attraverso cui emittenti sia privati sia pubblici offrono strumenti finanziari di nuova emissione che vengono collocati presso un numero limitato di destinatari internazionali (investitori professionali come fondi comuni, banche, fondi pensione ecc.). La condizione che caratterizza fisiologicamente i mercati mobiliari è quella in cui il prenditore di fondi (emittente) affronta il rischio pieno dell’insuccesso dell’operazione. Tale insuccesso deve essere inteso nell’accezione:

  • di quantità collocata insufficiente rispetto a quanto programmato;

  • oppure di prezzo dei titoli emessi troppo basso (e quindi costo troppo alto) rispetto a quanto avrebbe potuto essere.


Nel collocamento pubblico l’emittente, per il tramite di un intermediario finanziario, si rivolge a un numero elevato di potenziali investitori.

Una delle principali discriminanti tra collocamento privato e collocamento pubblico è relativa agli obblighi informativi: nel secondo caso, infatti, la normativa prevede l’obbligo di un prospetto informativo; dal punto di vista della trasparenza informativa nei rapporti tra emittente e investitore, occorre infatti prendere in considerazione le norme di legge sul cosiddetto 'appello al pubblico risparmio'. La funzione dell’intermediario finanziario è quella di consentire all’emittente di portare a termine, in tempi rapidi e con un buon successo economico, l’operazione. Per conseguire questi obiettivi, le nuove emissioni sono organizzate e realizzate raramente da un unico intermediario mobiliare ma da un consorzio di sottoscrizione e collocamento. Vale a dire che, in genere, l’emissione è affidata a più intermediari finanziari, coordinati da un capofila che, su mandato dell’emittente, svolge il ruolo di organizzatore (arranger) e di guida (lead manager) dell’operazione. L’evoluzione dei mercati ha peraltro condotto alla messa a punto di tipologie di collocamento che modificano di volta in volta le posizioni relative emittenti-investitori. In particolare, esistono modalità di collocamento in corrispondenza delle quali l’emittente mira a coinvolgere gli investitori nella definizione del prezzo-rendimento del titolo in emissione. Un meccanismo di collocamento di titoli può essere scomposto in diverse fasi (figura 1). Le possibili tipologie di collocamento si differenziano proprio in funzione delle diverse modalità con le quali si sviluppano nel corso dell’operazione le fasi citate.



Collocamento a fermo e a rubinetto


Tra i diversi casi esaminati, il collocamento a fermo rappresenta il meccanismo in fondo più semplice. In tale caso l’emittente definisce infatti, prima di procedere all’emissione, tutte le caratteristiche contrattuali dei titoli da collocare. Ciò significa:

  • nel caso di titoli azionari, di fatto, il loro prezzo;

  • nel caso di titoli obbligazionari, invece, il prezzo, le modalità di pagamento degli interessi e di rimborso del capitale e le eventuali clausole di opzione (di conversione, di rimborso anticipato ecc.).

Una precisazione: l'assunzione di garanzia, attraverso la sottoscrizione di titoli da parte dell'intermediario, può avvenire nella forma 'a fermo' (con sottoscrizione preventiva dell'intera emissione) o 'con garanzia' (sottoscrivendo solo la parte non collocata sul mercato). Pertanto, è opportuno mantenere una distinzione tra "collocamento a fermo" come tecnica utilizzata dall'emittente i titoli di Stato e le obbligazioni e l''assunzione a fermo' da parte del consorzio di collocamento.

Nella fase di offerta, l’emittente renderà quindi note al mercato, relativamente ai titoli da collocare:

  • sia le citate caratteristiche contrattuali;

  • sia la quantità in emissione.

Il modo con cui vengono trasmesse al mercato degli investitori tali informazioni è fondamentalmente quello incentrato sul prospetto informativo. Una sintesi adeguatamente rappresentativa del prospetto informativo viene pubblicata sugli organi di stampa: questo sia nell’interesse dell’emittente (che in questo modo promuove l’operazione facendola conoscere al mercato), sia per la presenza di obblighi normativi al riguardo.

Non dimentichiamo che dal prospetto informativo l’investitore è in grado di ottenere ulteriori informazioni, relative non tanto ai titoli in collocamento, quanto all’emittente, così da valutare il grado di affidabilità di quest’ultimo. In tale documento l’emittente deve anche indicare una data entro la quale l’investitore deve manifestare la propria intenzione di sottoscrivere. Tale data è generalmente molto vicina (pochi giorni) al momento in cui il mercato viene messo a conoscenza dell’emissione. Trascorsa la data prevista l’emittente, dopo aver raccolto tutte le richieste di sottoscrizione pervenute in tempo utile, procederà all’aggiudicazione dei titoli tra i richiedenti.

Naturalmente, l’ipotesi che domanda e offerta di titoli coincidano (non trattandosi di un private placement) è molto rara. Pertanto, se la quantità richiesta sarà inferiore alla quantità offerta, l’emittente annullerà parte dell’emissione. Al contrario, nel caso opposto di quantità domandata superiore all’offerta, si crea il problema di definire un criterio di accettazione-esclusione delle richieste. I criteri possibili sono diversi. Si potrebbe infatti:


- privilegiare chi abbia trasmetto la propria richiesta prima degli altri

- ripartire la richiesta complessiva in modo da soddisfare tutti gli investitori in modo proporzionale


Spesso (soprattutto nei collocamenti di titoli azionari) viene applicato anche un meccanismo di sorteggio, per agevolare l’assegnazione agli investitori estratti di un quantitativo 'tondo' di titoli.

Attraverso il riparto, a ogni investitore spetta una percentuale della quantità da lui richiesta, pari al rapporto, espresso in percentuale, tra il totale dei titoli offerti e dei titoli richiesti.

Relativamente al caso di un collocamento a fermo, è necessario soffermare l’attenzione su almeno due aspetti.


È anche vero che l’emittente può decidere di adottare sistemi di collocamento che rendano in un certo modo più 'flessibile' il contatto con il mercato, vale a dire che consentano di definire le condizioni dell’emissione sulla base dei segnali provenienti dagli investitori relativamente al loro apprezzamento nei confronti dei titoli proposti: si tratta del collocamento a rubinetto.

Il collocamento a rubinetto rappresenta un meccanismo attraverso il quale l’emittente mira a rendere flessibile l’elemento 'quantità'. Nella fase di offerta di un collocamento a rubinetto vengono infatti resi noti al mercato il prezzo e ogni altra caratteristica contrattuale del titolo, ma non la quantità in emissione. L’emittente offre cioè al mercato la possibilità di valutare integralmente le condizioni dell’emissione, ma non rende nota la quantità di fondi che progetta di raccogliere. Relativamente alla fase di richiesta dei titoli non sono previsti tempi di esecuzione particolari. Metaforicamente, il rubinetto è sempre disponibile: è sufficiente aprirlo per ottenere l’acqua. Nel momento cioè in cui il sottoscrittore comunica all’emittente la quantità desiderata di titoli, quest’ultimo procede all’aggiudicazione alle condizioni prefissate e nella quantità domandata. In Italia il collocamento a rubinetto è ad esempio utilizzato dalle banche nel caso dei certificati di deposito.

In altre parole… Una banca può ad esempio comunicare agli investitori la disponibilità di propri certificati attraverso una comunicazione affissa ai locali della banca o sintetizzata in una brochure promozionale. Le condizioni proposte dalla banca agli investitori per i propri certificati di deposito sono in vigore in quel momento, e quindi implicitamente 'valide sino a modifica'. La stessa banca potrebbe in un dato momento intervenire per modificare al rialzo o al ribasso i rendimenti proposti, regolando in questo modo, seppure in via indiretta, la quantità richiesta e corrispondentemente emessa.



Collocamento con asta

I collocamenti a fermo e a rubinetto presentano elementi di inefficienza, che invece l’emittente può in parte controllare utilizzando il meccanismo del collocamento con asta.

Infatti, attraverso l’asta, l’emittente cerca in primo luogo di individuare in una qualche misura il prezzo (e quindi il costo-rendimento) desiderato dal mercato prima che abbia luogo l’assegnazione dei titoli. In secondo luogo, con la scelta del collocamento tramite asta l’emittente mira a fare sì che la sperata pressione dal lato della domanda di titoli incida a proprio favore sul prezzo di emissione, facendolo aumentare. Il favorevole effetto sul prezzo in presenza di forte richiesta non può manifestarsi né nel caso del collocamento a rubinetto (perché è la quantità di titoli offerta a essere perfettamente elastica e a reagire alle spinte della domanda, non il prezzo), né nel caso del collocamento a fermo, perché il prezzo è predeterminato e fisso. In Italia il sistema dell’asta è previsto, ormai da molti anni, per le emissioni di titoli di Stato. L’organismo che di fatto funge, per conto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, da organizzatore delle aste pubbliche di titoli di Stato è la Banca d’Italia. Alle aste di titoli di Stato possono partecipare banche italiane, comunitarie ed extracomunitarie, nonché società di intermediazione mobiliare e imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie, purché abilitate allo svolgimento di almeno uno dei servizi di investimento ai sensi dell’art. 1, comma 5 del TUF. La partecipazione alle aste è, peraltro, regolata da un’apposita convenzione che i richiamati intermediari devono preliminarmente stipulare con la Banca d’Italia. Tutti gli altri operatori del sistema (siano essi privati risparmiatori, fondi comuni di investimento o altri) interessati a sottoscrivere titoli di Stato sul mercato primario devono invece rivolgersi agli operatori su elencati (anche detti “operatori abilitati”). Tale aspetto è molto importante. Il singolo intermediario partecipante all’asta esprimerà una richiesta di titoli in parte per esigenze proprie (cioè per il proprio portafoglio) e in parte per soddisfare le eventuali richieste di altri investitori, suoi clienti.


Per i titoli di Stato a medio-lungo termine e per i BoT a sei e dodici mesi è prevista una riapertura (collocamento supplementare) riservata agli specialisti in titoli di Stato. Gli specialisti che non hanno partecipato all’asta di emissione non sono ammessi al collocamento supplementare. L’assegnazione supplementare ha luogo al prezzo di aggiudicazione determinato nell’asta di emissione. L’importo massimo offerto nella riapertura per i titoli a medio-lungo termine è di norma pari al 30% dell’ammontare nominale offerto nella prima tranche di ogni nuovo titolo e al 15% per le successive riaperture, mentre per i BoT è in genere pari al 10% dell’emissione ordinaria.

Nelle ultime Linee Guida sulla gestione del debito pubblico, al fine di agevolare il più possibile la liquidità e l’efficienza del mercato secondario, si legge che il Tesoro, nel corso nel corso dell’anno, continuerà ad avvalersi di alcuni elementi di flessibilità.

In particolare, il Tesoro si riserva la facoltà di scegliere di volta in volta di aumentare discrezionalmente la quota delle riaperture dei titoli nominali e indicizzati all’inflazione di un ulteriore 5%, a prescindere dalla loro vita residua.


Specialisti in titoli di Stato

Operatori che svolgono la funzione di market maker (primary dealers) per i quali sono previsti obblighi di sottoscrizione nelle aste dei titoli di Stato e di negoziazione di volumi sul secondario (mercati regolamentati e/o sistemi multilaterali di negoziazione all’ingrosso). A fronte di tali obblighi, essi godono di alcuni privilegi, tra cui la facoltà di partecipare in maniera esclusiva ai collocamenti supplementari delle aste di emissione. Il Decreto del Dirigente Generale del Debito pubblico n. 993039 dell’11 novembre 2011 (c.d. Decreto Dirigenziale Specialisti) in materia di “Selezione e Valutazione degli Specialisti in titoli di Stato”, all’art.4 comma 1, prevede che, per poter chiedere l’iscrizione nell’Elenco degli Specialisti in titoli di Stato, il market maker deve soddisfare tra gli altri, i seguenti requisiti:

  1. sia operativo da almeno cinque mesi, in qualità di market maker in titoli di Stato italiani, su almeno una delle piattaforme iscritte nella Lista dei mercati regolamentati e dei sistemi multilaterali di negoziazione ammissibili secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (attualmente composta da MTS Italy);

  2. abbia firmato la convenzione con la Banca d’Italia per la partecipazione alle operazioni di collocamento, acquisto e concambio dei titoli di Stato (Banca d’Italia, Divisione Debito Pubblico, Servizio Operazioni di Banca Centrale – via Nazionale, 91 – 00184 Roma) e attesti di conoscere quanto in essa contenuto e di aver predisposto tutto quanto necessario per il corretto utilizzo del sistema;

  3. sia in possesso di un’idonea struttura organizzativa e una soddisfacente conoscenza del funzionamento del mercato dei titoli di Stato italiani sul piano normativo, tecnico e organizzativo, da verificarsi anche attraverso incontri mirati con il Tesoro;

  4. sia in possesso di un patrimonio netto di vigilanza pari ad almeno 50.000.000 di euro.



L’asta marginale

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), che è il "debitore" formale dei titoli emessi dal Governo della Repubblica italiana, ritiene opportuno utilizzare due sistemi di asta distinti per le diverse categorie di titoli.

Per i BoT viene utilizzato il meccanismo dell’asta 'competitiva', mentre per i titoli con scadenze medio-lunghe (CTz, BTp, CcTeu, BTp €i, BTp Green) quello dell’asta 'marginale'. A seguire si cercheranno di comprendere i perché di questa scelta. Per ora si consideri che, per motivi di chiarezza, di seguito sarà sviluppato un paragone tra i due meccanismi, valutandone le implicazioni, attraverso un confronto omogeneo, cioè come se venissero applicati in alternativa allo stesso titolo.

In sintesi, si ipotizzerà un’emissione con asta marginale (riferita al prezzo) relativa ad esempio a un BTp, e successivamente si procederà a descrivere cosa sarebbe accaduto se lo stesso titolo fosse stato emesso con asta competitiva (nonostante, si ricordi bene, nella realtà solo i BoT vengano emessi con il meccanismo dell’asta competitiva!).

Infatti, nella fase di offerta e di richiesta i due sistemi nella sostanza coincidono, mentre si differenziano per il criterio di definizione del prezzo in fase di aggiudicazione.

Ove sia previsto il collocamento con asta marginale, nella fase di offerta l’emittente comunica al mercato le caratteristiche dei titoli in emissione (ma non il prezzo!) e la quantità complessiva che intenderebbe collocare.

Contemporaneamente, gli intermediari ammessi all’asta sono informati della scadenza (in termini di data e ora) entro la quale devono comunicare le proprie richieste di titoli. Tecnicamente ciò avviene per via telematica e la Banca d’Italia fa da collettore delle richieste di sottoscrizione.

Possono partecipare all’asta marginale gli operatori specialisti in titoli di Stato. Le richieste avvengono da parte degli operatori partecipanti all’asta comunicando alla Banca d’Italia:

  • la quantità di titoli desiderata;

  • il prezzo a cui si è disposti a sottoscriverli.

Più specificamente, le regole attuali di funzionamento delle aste marginali di titoli di Stato in Italia sono di seguito sintetizzate:

Box 1. Elenco degli Specialisti in titoli di Stato (gennaio 2022)

  • Barclays Bank Ireland PLC

  • BNP Paribas

  • BofA Securities Europe S.A.

  • Citibank Europe Plc

  • Crédit Agricole Corp. Inv. Bank

  • Deutsche Bank A.G.

  • Goldman Sachs Bank Europe SE

  • HSBC Continental Europe

  • Intesa Sanpaolo S.p.A.

  • J.P. Morgan SE

  • Monte dei Paschi di Siena Capital Services Banca per le Imprese S.p.A

  • Morgan Stanley Europe SE

  • NatWest Markets N.V.

  • Nomura Financial Products Europe GmbH

  • Société Générale Inv. Banking

  • UniCredit S.p.A.

Cosa succede in sede di aggiudicazione dei titoli? La Banca d’Italia, sempre per conto dell’emittente, ordina le richieste pervenute in tempo utile in senso decrescente relativamente ai prezzi indicati. In questo modo viene privilegiato chi si è reso disponibile a pagare prezzi più elevati (e quindi ad accettare rendimenti minori sui titoli in emissione). Se la quantità richiesta supera l’offerta, qualche partecipante all’asta verrà ovviamente escluso dall’assegnazione dei titoli. L’ammontare collocato viene determinato escludendo le offerte formulate a prezzi ritenuti non convenienti sulla base delle condizioni di mercato, così come, previsto dai decreti di emissione dei titoli collocati tramite asta marginale. Attenzione a quello che accade in termini di definizione del prezzo dei titoli, perché è in questo che si caratterizza l’asta marginale!

Il prezzo di sottoscrizione dei titoli è infatti unico e identico per tutti i partecipanti all’asta che non siano stati esclusi per aver dichiarato un prezzo troppo basso. Ma attenzione ancora! Il prezzo di aggiudicazione è quello dell’ultimo partecipante non escluso: ciò significa che tutti gli investitori che hanno fatto richieste a prezzi più elevati, sottoscriveranno i titoli a un prezzo più favorevole rispetto alle loro stesse attese!

Gli operatori sono infatti spinti da due necessità: soddisfare le richieste della clientela e minimizzare il prezzo di aggiudicazione. Essi, infatti, effettuano sia domande a prezzi sufficientemente elevati, tali da garantirne l’assegnazione, in cui l’obiettivo preminente è quello di risultare aggiudicatari di una certa quantità di titoli, sia a prezzi bassi per ridurre il prezzo marginale di assegnazione. L’assegnazione dei titoli viene pertanto effettuata al prezzo meno elevato tra quelli offerti dai concorrenti rimasti aggiudicatari. Nel caso di offerte al prezzo marginale che non possano essere totalmente accolte, si procede al riparto pro-quota dell’assegnazione.


Guardando i risultati dell’aggiudicazione, le conclusioni da trarre in materia di aste marginali sono in fondo molto semplici. Si consideri dapprima la situazione dal punto di vista delle banche partecipanti all’asta.

L’assegnazione dei titoli a un unico prezzo (e al più basso!) nel nostro semplice esempio ha favorito la banca C. Essa può infatti sottoscrivere tutti i 100 milioni di euro di titoli desiderati al prezzo di 98,10€, pur essendosi dichiarata disposta in sede di richiesta a pagare un prezzo medio di 98,175€ (media tra una richiesta a 98,20€ e una a 98,15€).

È possibile immaginare che la banca C, non sapendo ovviamente che cosa avrebbero fatto le altre banche, abbia impostato la propria richiesta:

  • volutamente su prezzi alti, per non restare esclusa dall’assegnazione;

  • puntando contemporaneamente sull’ipotesi che un’altra banca proponesse un prezzo più basso, per poter sottoscrivere i titoli a 'quel' prezzo.


La banca A, cercando evidentemente di ottenere un rendimento più elevato rispetto alla banca C sui titoli in sottoscrizione, ha invece optato in sede di richiesta per prezzi più bassi. Ciò ha comportato il problema dell’esclusione parziale in termini di quantità: la banca A ha infatti ottenuto sì i titoli a un prezzo pari al prezzo medio che era disposta a pagare (98,10€), ma per una quantità inferiore (50 milioni di euro in luogo di 100).

Ciò che accade ora alla banca A è questo: se i titoli richiesti erano destinati al portafoglio di proprietà, in una logica di impiego dei surplus di liquidità, la banca dovrà cercare un impiego alternativo di tali surplus. Se invece i titoli erano stati richiesti dalla clientela, la banca dovrà convincere quest’ultima a rinunciare all’investimento, o in alternativa, per poterla soddisfare, dovrà cedere parte dei titoli del proprio portafoglio. La banca B si trova infine in una posizione che potremmo definire di neutralità tra le richieste fatte e i prezzi-quantità ottenuti. Dal punto di vista dell’emittente, è evidente che un’asta del tipo marginale comporta, a parità di condizioni, un onere. Come è evidente dall’esempio e come già notato, alcuni investitori sono in grado di ottenere titoli pagando un prezzo inferiore a quello che sarebbero comunque stati disposti a pagare.


Un’ultima nota. Al fine di remunerare gli operatori partecipanti alle aste – per il servizio che svolgono di acquisto e distribuzione dei titoli di Stato, nonché di quotazione e scambio sul mercato secondario, e per i rischi connessi a queste attività – viene riconosciuta agli intermediari una provvigione di collocamento (in misura percentuale variabile in funzione della durata del titolo emesso), calcolata sull’ammontare nominale sottoscritto, in relazione all’impegno di non applicare alcun onere di intermediazione sulle sottoscrizioni della clientela. Detta provvigione viene corrisposta trimestralmente, per il tramite della Banca d’Italia (cfr. art. 8, Decreto di massima n. 66608 per le aste dei titoli di Stato). Ad oggi la situazione in termini di provvigioni di collocamento è quella illustrata nella tabella 3.


Con riferimento al concetto di tranche si ricorda che, ormai da anni, il Tesoro nel collocamento dei titoli a medio-lungo termine, è solito, dopo l’emissione iniziale, 'riaprire' la medesima emissione 'più volte' con una periodicità variabile da titolo a titolo e inoltre anche in funzione delle proprie esigenze di finanziamento. Il titolo che viene emesso è il medesimo (stesso codice ISIN) mentre diversi sono a quel punto gli esiti delle condizioni di emissioni (cioè il prezzo di collocamento), la vita residua (ovviamente più 'corta' a mano a mano che si procede nel collocamento delle diverse tranche) e le quantità emesse (che possono essere maggiori, minori o uguali a quelle collocate nelle precedenti tranche).

Con riferimento alla scadenza si fa presente che il Tesoro, salvo eccezioni, solitamente emette BTp ad esempio a 10,5 e a 31 anni e oltre, in modo tale che quando il ciclo di riaperture (tranche) è terminato, la scadenza residua del titolo sia 'prossima' a 10 e 30 anni.

La ratio del meccanismo della riapertura delle emissioni per tranche risiede in larga misura nel fatto di 'creare' emissioni caratterizzate da consistenti volumi in circolazione (tale volume viene denominato anche 'circolante'), al fine di migliorare l’efficienza e la trasparenza delle contrattazioni nonché, come anticipato, di raggiungere volumi elevati che garantiscono livelli adeguati di circolante e di sufficiente liquidità. Il metodo così descritto consente di emettere in date diverse titoli aventi le medesime caratteristiche tecniche (tasso, scadenza finale).

Il punto rilevante diventa la costanza del prezzo di emissione valido ai fini fiscali per tutti i titoli che, pur appartenendo allo stesso prestito, vengono offerti in più tranche successive. Per consentire la fungibilità delle diverse tranche dello stesso prestito, il prezzo di riferimento ai fini fiscali viene infatti posto uguale a quello di aggiudicazione dell’asta relativa alla prima tranche. In caso di prezzo finale di aggiudicazione della prima tranche alla pari o sopra la pari, il valore di rimborso netto coincide con il valore di rimborso lordo ed è pari a 100.

La figura 3 rappresenta una videata tratta dal sito del Dipartimento del Tesoro (www. dt.mef.gov.it) relativa ad alcune comunicazioni di emissioni a medio-lungo termine in cui si notano entrambe le categorie di titoli.


Corrispondentemente, per i BoT (titoli a breve scadenza e quindi più appetibili per l’investitore avverso al rischio) il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha optato per il sistema dell’asta competitiva (riferita al rendimento) che – come vedremo – comporta un trattamento meno favorevole per il partecipante all’asta e quindi più favorevole all’emittente.


Asta marginale Modalità di collocamento che prevede che tutti i titoli siano aggiudicati allo stesso prezzo. Tale prezzo è pari al più basso tra quelli offerti dai partecipanti che risultano aggiudicatari dei titoli.



L’asta competitiva

Come già precisato, il collocamento con asta competitiva è per molti aspetti simile a quello con asta marginale. In particolare, è nella sostanza identico nelle fasi di offerta e di richiesta.

In sintesi, l’emittente comunica le caratteristiche dei titoli (salvo il rendimento), la quantità che intende collocare e la data ultima per la partecipazione all’asta. Gli investitori interessati trasmettono alla Banca d’Italia le proprie richieste, precisando la quantità di titoli desiderata e il rendimento richiesto.

Le attuali regole di funzionamento delle aste competitive per i BoT sono di seguito sintetizzate:

PARTECIPAZIONE e RICHIESTE DI ACQUISTO


Le richieste degli operatori devono essere inviate per via telematica e devono contenere sia l’indicazione dell’importo dei BoT in termini di capitale nominale che si intende sottoscrivere sia il relativo rendimento, che può assumere valori positivi, nulli o negativi. Non sono ammesse all’asta richieste senza indicazione del rendimento.

Nella fase di aggiudicazione dei titoli, dal punto di vista dell’assegnazione delle quantità, asta competitiva e marginale coincidono: la Banca d’Italia soddisfa cioè per prime le richieste trasmesse rendimenti più bassi (ovvero ai prezzi più elevati).

Al termine dell’asta si determinano inoltre un rendimento minimo accoglibile (rendimento di salvaguardia) e un rendimento massimo accoglibile (rendimento di esclusione), la cui presenza incentiva a formulare proposte in linea con il mercato e a evitare speculazioni.

Il meccanismo dell’asta competitiva si caratterizza per le modalità di definizione del rendimento di aggiudicazione: per ogni quantitativo di titoli risultato aggiudicato, infatti, il rendimento di sottoscrizione è quello indicato dal partecipante all’asta.

Le tabelle 4 e 5 rappresentano – analogamente al caso descritto in precedenza con l’asta marginale – rispettivamente le fasi di richiesta e di aggiudicazione nel sistema di asta competitiva.


Dall’esame delle tabelle 4 e 5 emerge come in asta competitiva ognuna delle banche partecipanti avrebbe avuto un proprio 'individuale-soggettivo' rendimento di sottoscrizione, pari alla media ponderata dei rendimenti di assegnazione delle diverse quantità di titoli assegnate. Pertanto:

  • la banca A avrebbe ottenuto 50 milioni di euro di titoli con un rendimento medio di 1,85%;

  • la banca B avrebbe ottenuto 50 milioni di euro di titoli con un rendimento medio di 1,90%;

  • la banca C avrebbe ottenuto 100 milioni di euro di titoli con un rendimento medio di 1,825%.

Poiché, come già precisato, gli intermediari che partecipano alle aste dei titoli di Stato effettuano richieste anche per conto della propria clientela, a quale prezzo essi collocheranno i titoli agli investitori? Nel caso dei titoli collocati con asta marginale la risposta è evidente: al prezzo d’asta, denominato appunto prezzo marginale (98,10€ nell’esempio).

Nel caso dei titoli collocati con asta competitiva, vige invece l’obbligo di fare pagare alla clientela i titoli al prezzo medio ponderato d’asta (98,15€ nell’esempio) ricavato dal rendimento medio ponderato aggiudicato in asta (1,85%), che è allo stesso tempo il prezzo utilizzato per il calcolo dell’imposta sostitutiva del 12,50% prevista per i sottoscrittori "nettisti".

Dunque, osserviamo come una banca molto abile a intervenire in asta (grandi quantità ad alti rendimenti/bassi prezzi) sia in grado di ottenere un lucro immediato se il prezzo medio d’asta è superiore al prezzo medio a cui essa ha sottoscritto i titoli. Nell’esempio, questo vale per la banca B che può legittimamente trasmettere alla propria clientela al prezzo di 98,15€ i titoli sottoscritti al prezzo di 98,10€ (corrispondente al rendimento di aggiudicazione di 1,90%). L’esposizione sin qui svolta fa emergere gli aspetti emblematici del confronto tra asta marginale e competitiva. Osserviamo prima di tutto la situazione della banca C: in asta competitiva ottiene sì i 100 milioni di euro di titoli richiesti, ma ottenendo il rendimento richiesto! Pagandoli cioè il prezzo che si era dichiarata disposta a pagare pur di non perdere l’assegnazione: essa non può infatti sperare, come in asta marginale, che qualcun altro resti aggiudicatario a un prezzo più basso per poter pagare 'quel' prezzo (ottenendo quindi un rendimento più alto)! È dunque chiaro come l’emittente, con il sistema dell’asta competitiva, in un mercato primario caratterizzato da strutturale e forte preferenza degli investitori per i titoli in emissione (come è il caso dei BoT in Italia), riesca a delegare al mercato il compito di definire un più conveniente prezzo di sottoscrizione, favorendo il successo dell’emissione. In astratto, nell’ottica dell’emittente, l’asta competitiva è – a parità di condizioni – un sistema di collocamento migliore dell’asta marginale, poiché consente in linea generale di corrispondere un rendimento meno elevato e garantisce maggior equilibrio nella formazione dei prezzi, dato che questi corrispondono alle varie offerte pervenute. Nel caso dell’asta marginale, il prenditore di fondi sopporta invece un onere maggiore in termini di costo del finanziamento, in quanto si impegna ad assegnare i titoli a un unico prezzo comune a tutti i richiedenti, prezzo che risulta di norma inferiore al prezzo massimo da questi concretamente offerto. Se conviene maggiormente all’emittente, l’asta competitiva è al tempo stesso più aleatoria per i sottoscrittori/operatori abilitati, cui è richiesta elevata professionalità nella definizione dei prezzi offerti, poiché questi (in ipotesi di aggiudicazione) coincidono proprio con quello da pagare effettivamente, senza che i sottoscrittori possano confidare sulle offerte degli altri partecipanti per spuntare condizioni più favorevoli. Riassumendo, passando da un meccanismo di asta marginale a uno competitivo, l’emittente subisce due effetti di segno contrario: uno negativo, collegato a una possibile contrazione della domanda (e quindi dei volumi raccolti) dovuta alla maggiore aleatorietà sopportata dai richiedenti con la modalità competitiva rispetto a quella marginale; uno positivo, dovuto alla circostanza che la varietà dei prezzi di assegnazione dei titoli consente di ridurre i rendimenti da corrispondere e quindi il costo del debito.


Asta competitiva

Modalità di collocamento che prevede l’assegnazione dei titoli a rendimenti differenziati, ognuno dei quali è identico a quello indicato dall’operatore risultato aggiudicatario.



Collocamento tramite consorzio ed emissione tramite sottoscrizione diretta


Questa modalità prevede la costituzione di un consorzio di collocamento, formato da un capofila e da ulteriori intermediari che si fanno carico di collocare l’emissione presso la loro clientela.


Accade infatti che le difficoltà di valutare, attraverso l’asta pubblica, le migliori condizioni di offerta della prima tranche di titoli a lungo termine (solitamente BTp con durata non inferiore a 10 anni e BTp €i), inducano il Dipartimento del Tesoro a ricorrere all’opera dei consorzi di collocamento di cui fanno parte le maggiori banche straniere e italiane. Il caso riportato nel box 4 è relativo al collocamento dei primi titoli governati italiani a 50 anni.

Infine, vediamo l’emissione mediante sottoscrizione diretta. Consiste nella facoltà, concessa a ogni investitore, di sottoscrivere i titoli (in un arco temporale prefissato), anche accedendo direttamente online attraverso un sistema di home banking abilitato a una piattaforma di negoziazione, per mezzo della quale gli ordini pervengono a uno o più intermediari incaricati della loro raccolta e abilitati a soddisfarli per conto dell’emittente. Tale tecnica è attualmente adottata per l’emissione dei BTp Italia e dei BTp Futura, il cui collocamento avviene sulla piattaforma MOT di Borsa italiana S.p.A.


Initial Public Offering (IPO)


L’offerta pubblica iniziale (o IPO) costituisce lo strumento attraverso il quale una società ottiene la diffusione dei titoli tra il pubblico (la c.d. creazione del flottante), che è requisito necessario per ottenere la quotazione dei propri titoli su un mercato regolamentato.

Molte società di successo affrontano un momento in cui valutano l'ipotesi di quotarsi in borsa. Tipici esempi sono, ad esempio, i progetti relativi a nuovi investimenti da finanziare, il desiderio/necessità di affrontare un ricambio generazionale, la ricerca, da parte dei membri della famiglia fondatrice o degli investitori istituzionali, di un'opportunità per uscire dall'investimento. La quotazione in borsa rappresenta una scelta chiave per il futuro dell'azienda. Pertanto, una società deve valutare attentamente tutti gli aspetti e le implicazioni che lo status di società quotata implicano sulla gestione aziendale. La quotazione è un investimento di lungo termine che richiede consapevolezza sia degli obblighi, sia delle opportunità che ne derivano, considerato che la visibilità internazionale e la superiore credibilità presso gli stakeholder contribuiscono ad accrescere le occasioni di business.


Con la quotazione si diversificano le fonti di finanziamento e si riequilibra la struttura patrimoniale della società. Al tempo stesso la quotazione richiede uno sforzo in termini di trasparenza informativa e organizzazione interna la cui attuazione è condizione necessaria per garantire la tutela degli azionisti di minoranza.

L'IPO, essendo rivolta al pubblico indistinto degli investitori, costituisce una fattispecie di appello al pubblico risparmio, pertanto, la società emittente dovrà organizzare l’operazione avendo cura di osservare la disciplina del TUF finalizzata a garantire un’informazione trasparente ai destinatari dell’offerta. La società deve redigere il Prospetto Informativo secondo lo schema indicato dalla stessa Consob. La decisione di una società di procedere alla quotazione in borsa determina l’avvio di una procedura relativamente impegnativa il cui sviluppo si estende su un arco temporale che spesso si protrae per alcuni mesi. Durante l’IPO si alternano infatti le fasi di preparazione, due diligence, istruttoria, ammissione a quotazione, collocamento vero e proprio e successiva negoziazione.


Flottante

Quantità di azioni di una società che sono diffuse presso gli investitori professionali, oltre che presso gli investitori non professionali, e non costituiscono partecipazioni di controllo o vincolate da patti parasociali, sono quindi disponibili per la negoziabile in una borsa valori. In particolare, il Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A. prevede alcune condizioni per l’ammissione alla negoziazione delle azioni in termini sia di flottante minimo, sia di capitalizzazione di mercato. Infatti, quest’ultime, tra gli altri, devono soddisfare i seguenti requisiti:

  • capitalizzazione di mercato prevedibile pari almeno a 40 milioni di euro; Borsa Italiana può ammettere azioni con una capitalizzazione inferiore qualora ritenga che per tali azioni si formerà un mercato sufficiente;

  • sufficiente diffusione, che si presume realizzata quando le azioni siano ripartite presso gli investitori professionali oltre che presso gli investitori non professionali per almeno il 25% del capitale rappresentato dalla categoria di appartenenza.


IL MERCATO SECONDARIO

I sistemi di negoziazione

Una volta che i titoli sono stati immessi sul mercato primario, questi possono essere oggetto di negoziazione in quello che abbiamo già avuto modo di definire il mercato “secondario”. Nel caso di titoli quotati lo scambio tra investitori potrà avvenire all’interno di un mercato di borsa. Qualora un titolo non sia stato oggetto di quotazione, questo non potrà che avvenire nel mercato “over the counter” (OTC), ovvero essere oggetto di negoziazione privata tra due soggetti interessati a realizzare uno scambio. Se nel mercato OTC le parti sono libere di definire liberamente tutti i termini della transazione (quantità, prezzo, termini di consegna, ecc.) nel caso dei mercati ufficiali la società di gestione del mercato (es. Borsa Italiana S.p.A) provvede a definire le modalità con le quali gli scambi potranno avvenire (es. mercati ad asta o “order driven”, mercati con market maker o “quote driven”) e sarà possibile definire alcune regole del mercato, quali la presenza di quantitativi minimi di negoziazione (detti anche “lotti minimi”) e valutare le caratteristiche del mercato in termini di “ampiezza”, “spessore” ed “elasticità”).

Descriviamo, quindi, gli elementi che definiscono il funzionamento e le caratteristiche di un mercato secondario, ovvero la c.d. “microstruttura” del mercato.


Iniziando ad analizzare il meccanismo di formazione dei prezzi, si è già avuto modo di indicare in precedenza che un mercato può essere un mercato “quote driven” oppure “order driven”. Nei mercati quote driven – letteralmente 'guidati dalle quotazioni' – un intermediario espone, contestualmente e in via continuativa, quotazioni denaro (bid) e lettera (ask) a cui è disposto – rispettivamente – ad acquistare da e vendere a terzi (altri intermediari, pubblico degli investitori, ecc.) i titoli per cui 'fa mercato'.

Si afferma in tal caso che l’intermediario opera come dealer.

Come anticipato, quando l’intermediario che opera in tale modo è specializzato nell’operatività su un certo titolo si dice che l’intermediario è market maker di tale titolo.

Diversamente, nei mercati order driven – letteralmente "guidati dagli ordini" – non è presente alcun intermediario che svolge istituzionalmente le funzioni di dealer oppure market maker. In tal caso gli scambi si concludono attraverso l’interazione immediata di soggetti appartenenti ai lati opposti del mercato. L’interazione è 'immediata' in quanto non interviene alcun intermediario che si frappone alle due parti nello scambio.

La formazione del prezzo in un mercato order driven è guidata, dunque, da tutti i partecipanti al mercato (sia intermediari sia investitori finali) attraverso la trasmissione delle proprie volontà negoziali nella forma degli ordini.

Esistono inoltre anche sistemi ibridi-misti dove si coniugano le caratteristiche di entrambe le tipologie appena descritte.



Caratteristiche del mercato (e dei suoi ordini)

Nella letteratura sull’efficienza dei mercati le caratteristiche degli ordini di acquisto e vendita in termini di volumi e di frequenza degli scambi sono sintetizzabili in tre principali concetti:

ampiezza Con ampiezza si intende la situazione in cui sul mercato pervengono ordini di acquisto e di vendita di strumenti finanziari caratterizzati da volumi consistenti. A loro volta tali ordini di acquisto e di vendita riflettono il numero degli operatori che partecipano al mercato, così come la quantità di titoli della stessa specie presenti nei loro portafogli e indirizzati alla negoziazione. spessore Lo spessore riguarda invece la configurazione delle schede di domanda e di offerta e, in particolare, il fatto che esse risultino sufficientemente articolate, cioè esprimano con una certa continuità diverse combinazioni di prezzi e quantità per ogni titolo oggetto dello scambio. Si ha un mercato spesso o profondo quando eventuali squilibri di domanda e offerta trovano espressione in un prezzo immediatamente superiore o inferiore a quello realizzato nella precedente situazione di equilibrio. La mancanza di tale requisito può tradursi in vuoti di domanda e di offerta, cioè nell’impossibilità per alcuni ordini di acquisto e di vendita di trovare esecuzione, oppure, può generare eccessive variazioni nei prezzi. elasticità Si è infine in presenza di un mercato elastico quando eventuali squilibri tra domanda e offerta, con conseguenti tensioni dal lato dei prezzi, attraggono nuovi ordini in grado di riportare tempestivamente in equilibrio il mercato. Il concetto di elasticità appare pertanto strettamente collegato alla rapidità con cui l’informazione sui prezzi e sui flussi di ordini viene resa disponibile agli operatori, mettendoli nella condizione di reagire prontamente con nuovi ordini.

Precisiamo i concetti sopra esposti.

Osserva quattro diverse strutture di domanda di un ipotetico titolo (colonne A-D). In ogni colonna sono riportate le quantità domandate in corrispondenza dei diversi prezzi; ogni colonna può essere considerata come la scheda di domanda di un ipotetico mercato che, confrontato con le schede di offerta, si contraddistingue per differenti aspetti di ampiezza e spessore. Se ipotizziamo che le diverse schede di domanda debbano far fronte a un’offerta di titoli pari a 600, definita al miglior prezzo realizzabile in quel momento sul mercato, è possibile definire i quattro mercati secondo le seguenti caratteristiche operative.



Regole comuni di svolgimento degli scambi


Nell’ambito di un mercato secondario, è possibile contribuire alla migliore funzionalità degli scambi attraverso la fissazione di alcune regole comuni di svolgimento di questi ultimi. L’aggettivo 'comuni' usato a fianco di 'regole' deve essere inteso nel senso di 'rese note e valide per tutti gli operatori', tanto che in questo senso i mercati organizzati si dicono anche caratterizzati da forme di standardizzazione degli scambi.

Delle numerose regole possibili al riguardo, vediamo il significato di quantitativi minimi. La definizione di un quantitativo minimo di titoli che può essere scambiato su un mercato secondario facilita, a parità di condizioni, l’incontro della domanda e dell’offerta, perché rende più agevole l’accordo tra le parti in materia di quantità, prima di accordarsi eventualmente sul prezzo.

Per convenzione, i quantitativi minimi (detti anche lotti minimi o round lot con espressione inglese) di negoziazione sono in genere stabiliti in termini di:

  • numero fisico di titoli, nel caso, ad esempio di particolari strumenti come i warrant il cui prezzo è definito in valore assoluto. In tal caso si dirà che lo strumento può essere scambiato per un quantitativo minimo pari a 1.000 titoli o multipli di questo;

  • valore nominale in euro, nel caso delle obbligazioni e degli strumenti il cui prezzo è invece definito in punti percentuali. In tal caso si dirà che l’obbligazione emessa dall’impresa Maverick può essere scambiata per un quantitativo minimo pari a 1.000€ di valore nominale.

Si osservi come la semplice definizione di un lotto minimo di transazione possa implicitamente segmentare gli investitori interessati a un certo mercato. Se infatti vengono stabiliti lotti elevati, il mercato si caratterizzerà per una prevalente presenza di investitori professionali, mentre nel caso di lotti più bassi, sul mercato potranno intervenire anche privati risparmiatori e investitori di piccola dimensione. Un’altra regola comune di svolgimento in grado di influire sul funzionamento del mercato riguarda il sistema di liquidazione degli scambi. La liquidazione individua il momento in cui si realizza l’esecuzione del contratto, vale a dire lo scambio di titoli contro denaro. La certezza dell’esecuzione dei contratti richiede l’esistenza di regole standardizzate relative ai tempi intercorrenti tra il momento della stipula del contratto e la sua liquidazione, regole che valgano per tutte le operazioni effettuate e per tutti gli intermediari che vi partecipano. La fase di regolamento di uno scambio attiene al momento di esecuzione dello stesso, in cui cioè il venditore è obbligato a consegnare i titoli e il compratore a versare il prezzo. Sui mercati secondari caratterizzati da forme di organizzazione, tale fase viene standardizzata sulla base di due tipi di intervento. Il primo di essi riguarda la definizione del momento in cui lo scambio deve essere regolato dalle controparti. Queste ultime non godono pertanto di alcuna libertà nella scelta dei tempi di regolamento: se lo scambio avviene su 'quel' mercato, deve essere eseguito secondo le regole previste per lo stesso. Le due principali tipologie di liquidazione denotano rispettivamente i contratti a contante e i contratti a termine.

Contratti a contante La liquidazione dei contratti 'a contante' prevede che tutti i contratti stipulati in un determinato giorno vengano regolati dopo un prestabilito numero di giorni lavorativi (o, meno spesso, di calendario). In particolare, in Italia si utilizza al riguardo l’espressione 'giorno di borsa aperta'. Ad esempio, per i titoli obbligazionari e azionari quotati in borsa, da inizio ottobre 2014, la liquidazione ha luogo il secondo giorno di borsa aperta successivo a quello di stipulazione. In questo modo, l’investitore che vende un titolo conosce con esattezza il momento in cui dovrà trasmettere il titolo al compratore e corrispondentemente il momento in cui avrà l’accredito del prezzo. Viceversa, ovviamente nel caso del compratore. Contratti a termine La liquidazione dei contratti 'a termine' avviene invece dopo un intervallo di tempo superiore a quello che caratterizza i contratti a contante. Normalmente la liquidazione a termine viene regolata attraverso la predisposizione di un calendario che fissa le date in cui ha luogo la liquidazione dei contratti stipulati in un determinato intervallo temporale. Un esempio di mercato a termine è quello dei futures per i quali, nell’arco dell’anno sono previste diverse date di liquidazione del contratto.

In un mercato organizzato, la domanda e l’offerta di titoli non si incontrano in modo casuale, ma sulla base di un predefinito meccanismo di contrattazione, dal quale dipende il processo di formazione dei prezzi. Le fondamentali ipotesi alternative sperimentate sui mercati finanziari moderni sono quelle dell’asta a chiamata e della contrattazione continua. Nel caso dell’asta a chiamata, la domanda e l’offerta relative a un determinato titolo confluiscono in un determinato momento della giornata dando luogo a un unico prezzo, che deve essere in grado di soddisfare il maggior numero di operatori sui due lati dello scambio. La tabella 7 propone al riguardo un semplice esempio. Si supponga che nel momento della chiamata di un determinato titolo si presentino sul mercato (attraverso gli schermi dei computer, se le negoziazioni sono telematiche, o di persona se le negoziazioni avvengono alle grida), sei intermediari, ognuno dei quali trasmette un ordine da parte dei propri clienti, per una pari quantità.



La negoziazione

Tutti i mercati regolamentati gestiti da Borsa Italiana sono telematici e dal punto di vista del sistema di negoziazione sono del tipo order driven o ibridi-misti, cioè con operatori specialisti a sostegno della liquidità degli scambi.

Le modalità di contrattazione sono rappresentate dalla combinazione di un sistema di asta con uno di negoziazione continua, con esecuzione degli ordini sul circuito telematico.

Le negoziazioni si articolano in fasi distinte: un’asta di apertura, una fase di negoziazione continua, un’asta di chiusura e una fase di negoziazione al prezzo di asta di chiusura. Le aste di apertura e di chiusura sono aste a chiamata, cioè, come anticipato, aste in cui gli scambi sono eseguiti tutti a un unico prezzo, se determinabile, che è quello che massimizza la quantità scambiata. Nella negoziazione continua invece il sistema conclude contratti a mano a mano che riesce a abbinare proposte di negoziazione compatibili. Nell’asta a chiamata si forma un solo prezzo, mentre nella negoziazione continua si ha una pluralità di prezzi di esecuzione (uno per ogni scambio effettuato).

Per ogni mercato/segmento vengono stabilite le modalità e gli orari specifici di negoziazione delle diverse fasi: tali orari sono stati molto uniformati rispetto al passato.

La tabella 9 riporta le diverse fasi e gli orari di negoziazione del mercato Euronext Milan - EXM (ex MTA); le fasi e gli orari di negoziazione vengono stabiliti per ogni mercato e/o segmento di negoziazione nelle istruzioni al Regolamento di Borsa Italiana.



Il book di negoziazione e il processo di formazione dei prezzi


Descritto il funzionamento e l’organizzazione di un mercato di borsa è ora opportuno analizzare la fase di negoziazione (c.d. trading) nella quale ha luogo la formazione dei prezzi. La volontà negoziale degli operatori si esprime attraverso proposte di negoziazione (PdN) in forma anonima. La volontà negoziale degli operatori specialisti si esprime attraverso proposte di negoziazione in forma non anonima. Le proposte di negoziazione si esprimono attraverso l’indicazione dello strumento finanziario da negoziare, la quantità, il tipo di operazione, il tipo di conto e le condizioni di prezzo. L’immissione, la modifica e la cancellazione delle proposte possono essere effettuate dagli operatori sia nella fase di pre-asta, sia in quella di negoziazione continua. Le proposte sono automaticamente ordinate in base al prezzo – decrescente se in acquisto e crescente se in vendita – nonché, a parità di prezzo, in base alla priorità temporale. Le proposte di negoziazione possono inoltre specificare diversi parametri di validità basati sul tempo o sull’esito della proposta e indicano la tipologia di committente (stralci da art. 4.3.2, comma 1 del Regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A.). Le due più diffuse tipologie di proposte di negoziazione sono le seguenti:

senza limite di prezzo (market order) Indicano la disponibilità ad acquistare o vendere un titolo alle condizioni di prezzo in quel momento in vigore sul mercato: di norma l’esecuzione è istantanea in negoziazione continua. Si tratta di proposte di negoziazione eseguibili a qualsiasi prezzo che hanno sempre priorità di esecuzione rispetto alle proposte con limite di prezzo. con limite di prezzo (limit order) Indicano la disponibilità all’acquisto di un titolo a un prezzo non superiore a un determinato valore o alla vendita a un prezzo non inferiore a un determinato valore; si tratta di proposte di negoziazione che possono essere eseguite a un prezzo uguale o migliorativo rispetto al proprio prezzo limite.


Il Book di negoziazione è uno strumento dinamico che raccoglie e mostra agli operatori le proposte di contrattazione con cui è possibile immediatamente negoziare.


Quando due ordini contrapposti presentanti lo stesso prezzo possono essere eseguiti, questi sono regolati e spariscono. La maggior parte dei broker online offre una profondità fino a 5 livelli, ma esistono profondità anche maggiori per gli investitori istituzionali. Le proposte di negoziazione sono raccolte nel book in due colonne: a sinistra quelle di acquisto, definite ordini denaro e a destra quelle di vendita, definite ordini lettera. Nei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana, similmente a quanto accade in altri mercati finanziari, il book è organizzato in modo tale che nella parte alta compaiano le proposte recanti i prezzi migliori (tabella 10). Pertanto, il lato bid/denaro (acquisto) è organizzato in ordine decrescente di prezzo, mentre il lato ask/lettera (vendita) in ordine crescente. Entrambe le colonne riportano tre dati fondamentali: il numero delle proposte inserite in acquisto e vendita, l’ammontare aggregato dei titoli degli ordini, il prezzo proposto.


Per quanto concerne la negoziazione continua è previsto che la conclusione dei contratti avvenga, per le quantità disponibili, mediante abbinamento automatico di proposte di segno contrario esposte presenti nel mercato e ordinate secondo ben precisi criteri di priorità.

Le proposte sono automaticamente ordinate nel mercato per ciascuno strumento finanziario in base al prezzo - decrescente se in acquisto e crescente se in vendita - nonché, a parità di prezzo, in base alla priorità temporale determinata dall’orario di immissione.

Le proposte modificate perdono la priorità temporale acquisita se la modifica implica un aumento del quantitativo o una variazione del prezzo.


Per ogni contratto concluso mediante abbinamento automatico ai sensi di quanto descritto nella tabella 4 il prezzo è pari a quello della proposta avente priorità temporale superiore (art. 4.3.4, comma 2).

L’esecuzione parziale di una proposta con limite di prezzo dà luogo, per la quantità ineseguita, alla creazione di una proposta che rimane esposta con il prezzo e la priorità temporale della proposta originaria (art. 4.3.4, comma 3).

Le proposte di negoziazione, ancora in essere anche parzialmente al termine della negoziazione continua, vengono automaticamente trasferite alla fase di pre-asta dell’asta di chiusura con il prezzo e la priorità temporale presenti al termine della negoziazione continua (art. 4.3.4, comma 4).



Struttura e caratteristiche del mercato dei cambi

Se in linea di principio i criteri di classificazione e le modalità di funzionamento dei mercati descritte in precedenza non differiscono nel caso in cui a essere negoziate siano delle valute, al tempo stesso il mercato dei cambi o “FOREX” si caratterizza per alcuni aspetti, che ne fanno un mercato nettamente distinto dagli altri (es. obbligazionario, azionario, ecc.).

Il mercato dei cambi può essere definito come il luogo in cui si scambiano le valute e si stabiliscono i relativi prezzi (i tassi di cambio). Il suo funzionamento non è soggetto a forme particolari di regolamentazione inerenti al sistema di negoziazione, alle quantità negoziate, alle modalità di consegna e alle scadenze standardizzate. Gli scambi avvengono in larga parte per via telematica 24 ore su 24. I principali partecipanti del mercato possono essere raggruppati così:

  • utilizzatori finali: imprese o semplici individui che hanno bisogno di valuta per acquistare beni e servizi dall’estero o per spostare capitali in funzione della loro attività economica principale;

  • market-maker: grandi banche internazionali che detengono valuta per consentire al mercato di operare senza interruzioni e che traggono profitti dalla differenza tra prezzo di vendita e di acquisto delle valute;

  • speculatori: banche, imprese o singoli operatori che cercano di ottenere profitti anticipando i movimenti del mercato;

  • arbitraggisti: banche che ottengono profitti acquistando una valuta in un mercato e, contemporaneamente, vendendo la stessa valuta su un altro mercato, sfruttando piccoli disallineamenti dei tassi di cambio;

  • banche centrali: autorità monetarie che, spesso su indicazioni del governo, cercano di influenzare il valore internazionale della loro valuta.

Questo dato ci fornisce un’indicazione evidente del ruolo giocato da operazioni speculative che avvengono su questo mercato e che provocano ampie oscillazioni di breve periodo, difficilmente prevedibili. Il maggior numero di negoziazioni avviene sulla piazza di Londra e New York, mentre il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima le transazioni valutarie mondiali, nelle quali entra il dollaro, del 90% (circa 4.500 miliardi al giorno su un totale di scambi valutari di 5.000 miliardi) e del 39% quelle in euro (ogni transazione sul mercato dei cambi coinvolge due valute; dunque, il totale delle transizioni in termini di valute è pari al 200%).

Il commercio internazionale di beni, servizi e attività finanziarie è notevolmente influenzato dall’andamento del livello dei prezzi e dai tassi di cambio nominali. Infatti, la capacità di un consumatore statunitense di acquistare un bene europeo dipende sia dal prezzo del bene in Europa sia dal tasso al quale il dollaro viene convertito in euro.


Il tasso di cambio nominale può essere semplicemente definito come il prezzo di una valuta in termini di un'altra valuta. Non si tratta quindi di un valore assoluto, ma di una relazione in costante evoluzione. Nella realtà ci sono numerosi tassi di cambio nominali, uno per ogni coppia di valute. La prima cosa da stabilire è quale delle due valute prendere come riferimento.


Solitamente i tassi di cambio nominali in Europa sono riportati nella modalità “certo per incerto”. Le informazioni sull’andamento dei tassi di cambio nominali sono riportate quotidianamente su giornali finanziari come Wall Street Journal, Financial Times o il Sole 24 Ore; ma anche su molti siti internet.

Le valute possono essere negoziate su mercati a pronti (spot) o a termine (forward). I cambi spot si riferiscono ad acquisti o vendite di valuta estera con ritiro e pagamento delle quantità pattuite il secondo giorno lavorativo successivo alla data di negoziazione. I cambi forward, invece, si riferiscono a operazioni di negoziazione di valuta con data di regolamento diversa dallo spot, con scadenze stabilite e un cambio prefissato.

Nella realtà dei mercati per ogni tasso di cambio esistono due prezzi. Gli operatori, infatti, esprimono sia la valutazione denaro (bid), alla quale sono disposti ad acquistare una determinata valuta, sia la valutazione lettera (ask) alla quale sono invece disposti a vendere la valuta. Tali quotazioni cambiano continuamente, in risposta all'evoluzione delle condizioni di mercato.


I tassi di cambio nominali consentono di confrontare i prezzi dei beni domestici con quelli dei beni esteri. In base alla modalità di quotazione utilizzata in Europa, moltiplicando il prezzo dei beni denominati in valuta domestica per il tasso di cambio nominale si ottiene il prezzo espresso in moneta estera. Alternativamente, dividendo il prezzo dei beni denominati in valuta estera per il tasso di cambio nominale si ottiene il prezzo espresso in moneta domestica.

In altre parole… Se il prezzo di una Fiat 500 è di 13.000 euro e il tasso di cambio EUR/USD (quotazione certo per incerto: quanti dollari per un euro) è pari a 1,20 allora il prezzo della macchina a 15.600 dollari (13.000•1,20). Allo stesso modo, se il prezzo di un computer Apple è di 2.000 dollari, il prezzo corrispondente in euro sarà pari a 1.666,6 (2.000/1,20).

Come qualsiasi altro prezzo, anche il tasso di cambio si muove nel tempo. Nella modalità "certo per incerto", un incremento del tasso di cambio nominale è definito apprezzamento della moneta domestica. Nel nostro esempio, ciò equivale a dire che con un euro si possono acquistare più unità di valuta estera. Facciamo un altro esempio.


Nella figura tale apprezzamento può essere riscontrato tra gennaio 2007 e luglio 2008, periodo in cui il tasso di cambio nominale EUR/USD è aumentato da 1,30 a 1,58. Invece, una riduzione del tasso di cambio nominale è definita deprezzamento della moneta domestica. Nel nostro esempio, ciò equivale a dire che con un euro si possono acquistare meno unità di valuta estera. Proseguendo con la lettura del grafico, possiamo notare che un deprezzamento del cambio si è verificato tra gennaio 1999 e novembre 2000, quando il tasso di cambio nominale EUR/USD è sceso da 1,15 a 0,85.

Le variazioni del tasso di cambio nominale hanno un effetto diretto sui prezzi delle importazioni e delle esportazioni di un Paese.


Le componenti della domanda e dell’offerta di valuta


Dopo aver definito il tasso di cambio nominale, possiamo ora analizzare le sue determinanti utilizzando gli strumenti tradizionali della domanda e dell’offerta.

In generale possiamo dire che in caso di eccesso di offerta della valuta estera, in contropartita della moneta del Paese, si manifesta una tendenza all'apprezzamento della moneta nazionale nei confronti di quella straniera. Viceversa, se la domanda di valuta estera eccede l’offerta, è verosimile attendersi un deprezzamento del tasso di cambio della moneta nazionale. Ma dove possiamo trovare le informazioni su eventuali eccessi di domanda o di offerta delle valute? Un indicatore molto utile per rispondere a questa domanda è rappresentato dal saldo globale della bilancia dei pagamenti di un Paese. Se il Paese presenta un saldo globale positivo (al quale corrisponde un eccesso di offerta della valuta estera in contropartita della moneta del Paese), si manifesta una tendenza all’apprezzamento della moneta nazionale nei confronti di quella straniera. Viceversa, se il saldo globale risulta negativo (denotando una domanda di valuta estera eccedente l’offerta), è verosimile attendersi un deprezzamento del tasso di cambio della moneta nazionale. La tabella 15 riporta in forma sintetica la struttura della bilancia dei pagamenti, mentre la box 1 ne riporta un'analisi dettagliata.


Box 1. Bilancia dei pagamenti: struttura e aggiustamenti

La bilancia dei pagamenti è uno schema contabile che registra tutte le transazioni economiche effettuate, in un dato periodo di tempo, dai residenti dell'economia domestica con i residenti delle economie estere. Per definizione, il saldo della bilancia dei pagamenti, dato dalla somma dei saldi delle sue componenti, è nullo. L'analisi della bilancia dei pagamenti può essere svolta raggruppando le voci in essa contenute in tre sezioni principali:

  1. il conto delle partite correnti (Current Account - CA) dove vengono registrate le transazioni reali (scambio di beni e servizi) e i trasferimenti unilaterali;

  2. il conto dei movimenti di capitale (Financial Account - FA) dove vengono registrate le transazioni finanziarie (acquisti e vendite di attività finanziarie e patrimoniali) e le variazioni delle riserve ufficiali detenute dalla banca centrale;

  3. il conto capitale (Capital Account - KA) dove vengono registrate le transazioni unilaterali in beni, servizi o attività finanziarie.

A loro volta queste sezioni comprendo varie sottosezioni. Il conto delle partite correnti si divide in:

  • merci: esportazioni e importazioni di beni. Le esportazioni sono registrate con segno positivo nel conto corrente, mentre le importazioni sono registrate con segno negativo. La differenza tra queste due voci spesso viene definito saldo commerciale (merchandise trade balance);

  • servizi: esportazioni e importazioni di servizi. Questa voce comprende i redditi da lavori compiuti all'estero da parte di residenti domestici; il pagamento di servizi quali acquisti / vendite di viaggi, premi di assicurazione, commissioni bancarie; i redditi da capitale ossia gli interessi sui titoli esteri detenuti da residenti domestici, i dividendi pagati da imprese estere a residenti domestici, ecc. Le esportazioni di servizi vengono registrate con segno positivo nel conto corrente, mentre le importazioni vengono registrate con segno negativo. I pagamenti maturati su attività finanziarie che l’estero corrisponde agli investitori domestici vengono registrate con segno positivo, mente i pagamenti che l’economia domestica effettua verso gli investitori esteri vengono registrati con segno negativo;

  • trasferimenti unilaterali: Transazioni a titolo non oneroso come, ad esempio, le rimesse.

La somma di queste componenti è detto saldo del conto corrente (current account balance). Un saldo negativo viene definito deficit mentre un saldo positivo viene definito surplus. Il conto dei movimenti di capitale si divide in:

  • investimenti diretti: in questa sezione vengono registrati con segno positivo gli acquisti di attività produttive domestiche da parte di soggetti esteri; mente gli acquisti di attività produttive estere da parte di soggetti domestici vengono registrati con segno negativo;

  • investimenti di portafoglio: in questa sezione vengono registrati con segno positivo l’acquisto di attività finanziarie domestiche (azioni, obbligazioni, ecc.) da parte di investitori esteri, mentre gli acquisti di attività finanziare estere da parte di investitori domestici vengono registrati con segno negativo;

  • variazioni delle riserve ufficiali: in questa sezione vengono registrate con segno positivo l’incremento delle riserve in valuta domestica da parte delle banche centrali estere e con segno negativo l’incremento delle riserve in valuta estera da parte della banca centrale nazionale;

  • errori, omissioni e discrepanze statistiche.

La somma di queste componenti è detta saldo del conto finanziario. Un saldo negativo viene definito deficit mentre un saldo positivo viene definito surplus. La caratteristica principale della bilancia dei pagamenti è che a ogni registrazione con segno positivo corrisponde una registrazione con segno negativo e viceversa. Di conseguenza la somma delle sue tre componenti è sempre uguale a zero. In altri termini, il saldo globale della bilancia dei pagamenti trova contropartita nella variazione delle riserve ufficiali (di segno opposto al saldo stesso), tale per cui: CA+KA+FA=0 Per esempio, se un Paese registra un deficit di Current Account deve finanziare l’eccesso di importazioni sulle esportazioni tramite un afflusso di capitali dall’estero, sotto forma di investimenti diretti o di portafoglio, che vengono registrati con il segno positivo. Di conseguenza, un deficit di Current Account è sempre accompagnato da un surplus di Financial Account o di Capital Account. Viceversa, un surplus di Current Account è sempre accompagnato da un deficit di Financial Account o di Capital Account. Vediamo ora i meccanismi in base ai quali il saldo della bilancia dei pagamenti si aggiusta in modo tale da risultare sempre uguale a zero. In regime di cambi flessibili, se il deficit di Current Account diventa eccessivo rispetto al surplus di Financial o Capital Account, la valuta domestica si deprezzerà fino a riportare in equilibrio la bilancia dei pagamenti attraverso un aumento delle esportazioni e una riduzione delle importazioni. Viceversa, se il surplus di Current Account diventa eccessivo rispetto al deficit di Financial o Capital Account, la valuta domestica si apprezzerà fino a riportare in equilibrio la bilancia dei pagamenti attraverso una riduzione delle esportazioni e un aumento delle importazioni. In regime di cambi fissi, invece, l’aggiustamento della bilancia dei pagamenti avviene mediante la variazione delle riserve internazionali a disposizione della banca centrale. In caso di deficit di Current Account eccessivi rispetto al surplus di Financial o Capital Account, gli operatori acquistano valuta estera dalla banca centrale in cambio di valuta domestica. In tale situazione le riserve internazionali del Paese diminuiscono. Viceversa, caso di surplus di Current Account eccessivi rispetto al deficit di Financial o Capital Account, gli operatori vendono valuta estera dalla banca centrale in cambio di valuta domestica. In tale situazione le riserve internazionali del Paese aumentano.

Attenzione, però, che quanto sopra detto si verifica nella realtà solo se la banca centrale si astiene dall’intervenire nel mercato dei cambi per contrastare la libera fluttuazione dei tassi di cambio (acquistando e vendendo, rispettivamente nei due casi appena considerati, valuta estera contro valuta nazionale). Fermo restando che la banca centrale può – almeno in linea di principio – compensare gli effetti dei propri interventi nel mercato dei cambi sulla base monetaria agendo su altri canali di creazione/distruzione della stessa, la figura 9 consente di memorizzare quanto fin qui detto.


Nella tabella 16 è riportata la bilancia dei pagamenti dell’Italia per gli anni 2020-2021. In particolare, la parte superiore mostra il confronto tra le mensilità novembre 2020 e novembre 2021.

La parte inferiore propone, invece, i valori cumulati per 12 mensilità. Ulteriori dettagli sulle voci presenti in tabella sono disponibili nel Manuale della bilancia dei pagamenti e della posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bilancia-pagamenti/).

Dalla comparazione dei dati relativi agli anni 2020-21 emergono spunti interessanti.

Nei dodici mesi terminanti in novembre 2021 il surplus di conto corrente è stato pari a 61,4 miliardi di euro (3,5% del PIL), da 60,5 miliardi nel corrispondente periodo del 2020. Il lieve miglioramento è dovuto all’incremento dell’avanzo dei redditi primari, che ha controbilanciato la marginale riduzione del surplus mercantile (66,1 miliardi, da 66,9) e l’aumento dei deficit dei servizi (-8,8 miliardi, da -7,5) e dei redditi secondari (-19,1 miliardi, da -18,1).

Quanto al conto finanziario, nel mese di novembre 2021 le attività nette sull’estero sono cresciute di 15,5 miliardi. I residenti hanno incrementato la loro esposizione sull’estero in titoli di portafoglio esteri per 16,3 miliardi (quasi esclusivamente titoli di debito a medio-lungo termine e quote di fondi comuni); hanno invece ridotto gli investimenti diretti all’estero per 1,1 miliardi. Sempre nel mese di novembre 2021, le passività nette sull’estero sono aumentate di 12,7 miliardi. L’incremento delle passività in altri investimenti è stato in parte controbilanciato dalla riduzione di quelle per investimenti di portafoglio (-13,4 miliardi, in relazione a vendite di titoli pubblici italiani in un contesto di emissioni nette negative).


Già soltanto alla luce della lunghezza dell’elenco contenuto in quest’ultima tabella, che peraltro non ha alcuna pretesa di esaustività, è evidente che qualsiasi modello teorico di determinazione dei tassi di cambio è destinato inevitabilmente a offrire una rappresentazione parziale della realtà, ma non per questo è inutile. È molto importante, infatti, riuscire a individuare le determinanti di fondo dei tassi di cambio e disporre di uno schema di riferimento per l’analisi delle complesse relazioni di interdipendenza fra gli stessi tassi di cambio e le altre principali grandezze macroeconomiche.

Ricapitolando, abbiamo detto che le variazioni del tasso di cambio sono influenzate dalla domanda e dall'offerta di valuta estera, il cui andamento può essere ricavato sinteticamente dal saldo globale della bilancia dei pagamenti. A questo punto possiamo fare un altro passo avanti e chiederci: cosa influenza la domanda e l'offerta di valuta?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo dividere l’analisi tra fattori di breve e di lungo termine. Nel breve periodo i fattori principali che influenzano la domanda e l'offerta di moneta sono i differenziali di interesse. Nel lungo periodo, invece, i fattori principali che influenzano la domanda e l'offerta di moneta sono i differenziali di inflazione.




 
 
 

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